CORNOVAGLIA E GALLES

 

 

Clicca su un'immagine per visualizzare tutte le foto

Lunedì 2 luglio


“Non si tratta di rinunciare ad andare in una direzione concreta, ma di aspettare il momento preciso e non imporsi un itinerario fisso e senza possibilità di cambiamenti, così rigido da non permettere di godersi il viaggio o di scoprire le altre direzioni di cui s’ignora addirittura l’esistenza e che la vita offre.” (Vanessa Montfort)


Così inizia la nostra vacanza, che ha come meta la Cornovaglia e il Galles. Tracciato l’itinerario generale, esso è aperto alle novità che si potranno presentare.
Partiamo nella tarda mattinata per non incontrare molto traffico in uscita da Milano. Scelta azzeccata: tangenziali est, nord, pedemontana e un breve tratto di autostrada ci conducono in meno di un’ora a Chiasso.
La Svizzera è piccola, ma sembra dilatarsi sotto le ruote, che devono scorrere rispettando gli stringenti limiti di velocità, che variano in continuazione secondo i tratti autostradali. Dopo la breve sosta pranzo accostiamo e superiamo un tir, che sul retro reca una scritta ben augurale: “Wir wünschen ihnen eine gute und umfallfreie Fahrt” (noi vi auguriamo un buon viaggio senza incidenti).
Alle ore18.00 sostiamo nell’area camper di Kayserberg, un tipico borgo alsaziano con belle case a graticcio e l’antica torre del XV secolo, che ospita sulla sua cima un nido di cicogne.

Martedì 3 luglio
Prima di iniziare il secondo giorno di avvicinamento al traghetto, ci concediamo una golosa colazione con due fragranti croissant. Poi ci mettiamo in marcia. Ripercorriamo a ritroso i pochi chilometri, che ci separano da Colmar lungo la via del vino. Le dolci colline alsaziane sono disegnate dai filari che, alternandosi in diverse direzioni, le ricoprono come un tessuto.
Assicurata la sopravvivenza per i prossimi giorni e fatto il pieno di carburante, in Francia i grandi centri commerciali garantiscono tutto a prezzi convenienti, mediante le arterie nazionali e alcuni tratti di autostrada, ci dirigiamo verso nord. La campagna francese è curata e ricca di raccolto. Il giallo dei cereali maturi e dei girasoli risalta tra il verde brillante del mais, bene irrigato a pioggia e quello scuro dei campi di patate e verze.
Passiamo per il piccolo Lussemburgo e per il Belgio, poi per una strada secondaria, tagliata negli scuri boschi delle Ardenne, rientriamo in Francia. Sostiamo nel camping municipale di Haybes, che compreso l’allacciamento elettrico, costa meno dell’area camper di ieri. Esso è sulla riva destra della Mosella, percorsa dalla ciclabile. Sono le ore 17,30. Scarichiamo le biciclette, indossiamo il caschetto e ci sgranchiamo le gambe con un’oretta di pedalata. Raggiungiamo il paese successivo, Fumay, e torniamo.

Mercoledì 4 luglio
Ci alziamo con calma. Con una camminata lungo la ciclabile andiamo fino in centro al paese. Qui dal boulanger compriamo una fragrante baguette.
Dopo pranzo riprendiamo il viaggio. Haybes dista da Calais circa 300 km. Il primo tratto di strada è piacevole. Costeggiamo la Mosella, che scorre placida, poi girando a sinistra, ci inoltriamo nei boschi delle Ardenne, dove potremmo vedere i cinghiali, così dice la segnaletica. Non li vediamo, però quei cartelli ci inducono a ricordare tutti gli animali selvatici che abbiamo finora incontrato allo stato nei nostri viaggi. Sono davvero tanti. I cinghiali li abbiamo visti in Polonia.
Superata questa bella zona, ci immettiamo in autostrada. Il percorso è trafficato e rallentato da qualche coda a causa di lavori stradali. Poco dopo le ore 18.00 ci fermiamo. La notte la trascorriamo nell’area camper di Calais.

Giovedì 5 luglio
Pensando a delle severe operazioni di controllo di polizia, ci presentiamo al check-in d’imbarco con un discreto margine di tempo. Dopo la presentazione dei documenti d’identità, passiamo davanti ai poliziotti senza subire alcun controllo. Alle ore 10.45 europee, puntuali salpiamo. Trascorriamo il tempo leggendo un libro e, quando la meta è prossima, usciamo sul ponte e immortaliamo le bianche scogliere di Dover, che si stagliano nitide tra il blu del mare e l’azzurro del cielo. Sbarchiamo alle 11.15, ora inglese.
Non è la prima volta che arriviamo con il nostro camper in Gran Bretagna, l’impatto con la guida a sinistra non è quindi una novità. All’inizio è tutto facile, basta seguire la fiumana dei veicoli sbarcati. Raggiunta la prima rotonda inizia il bello. Occorre percorrerla in senso orario. La nostra attenzione è massima. Abbiamo quattro occhi a disposizione, anzi otto! Dopo l’ingresso in autostrada decidiamo di fermarci alla prima area di sosta per pranzare. Il nostro orologio biologico, che non si è automaticamente sintonizzato sul nuovo orario, ci fa sentire la fame. Questa scelta casuale ci riserva una gradita sorpresa. Attraverso una stretta galleria superiamo le scogliere di Shakespeare e ci troviamo su un ampio promontorio, che fa parte dello Samphire Hoe, un parco naturale compreso tra la falesia della scogliera e il mare. La nebbia sale e copre man mano le bianche pareti rocciose. Pranziamo e poi percorriamo il sentiero tagliato nella brughiera alta sul mare. Siamo immersi in un’oasi di pace, rallegrata dagli stridii degli uccelli che hanno nidificato qui e variopinta dai tanti colori dei fiori, che insieme sprigionano un intenso e profumato bouquet. Poi il sentiero si abbassa fino al mare e qui si congiunge con un imponente contrafforte di cemento, costruito con il materiale derivato dallo scavo del tunnel ferroviario sotto la Manica. Quest’opera ingegneristica difende la falesia dall’erosione marina. Percorriamo il contrafforte e torniamo al camper. Riprendiamo il viaggio e dopo qualche miglio di autostrada, ci dirigiamo verso la costa. Attraversiamo una zona collinare. Molte fattorie allevano pecore, altre si dedicano all’agricoltura. Il transito attraverso alcuni paesi richiede pazienza e attenzione. Le loro strade sono strette e trafficate. Ci fermiamo in una fattoria, che ospita anche camper. Si trova sul promontorio che domina Eastbourne. Tre mezzi inglesi, uno tedesco e il nostro occupano il prato accanto al pascolo. Mentre il cielo si tinge di rosa e le pecore si acquietano, il prato si anima con le corse sfrenate dei piccoli conigli selvatici. Poi la sfera arancione del sole tramonta dietro il dosso e, avvolta nella semi oscurità, una volpe entra nel pascolo alla ricerca di qualche incauto coniglio. Percorre il prato in lungo e in largo prima di allontanarsi silenziosa, ignorando le pecore e gli agnelli.

Venerdì 6 luglio
Il cielo limpido e il sole già caldo di primo mattino ci invitano a rimanere qui nel Sussex. Organizziamo una gita. Distante cinque chilometri c’è la falesia Beachy Head, Ci incamminiamo lungo il sentiero erboso, che si stacca dalla strada e gradualmente porta al mare. Superato un promontorio, ci troviamo sul margine alto della falesia, un bianco muraglione, che ha come sentinella, giù nel mare il faro Beachy Head, costruito nel 1899 e reso automatico nel giugno del 1983. Più lontano sulla punta di un altro promontorio sorge il faro Belle Tout, che è stato edificato nel 1831. Questa bella scogliera, alta 165 metri, iniziò a formarsi sessantacinque milioni di anni fa, nel periodo cretaceo. Quando il livello del mare si alzò a causa del cambiamento climatico, il territorio fu sommerso dall’acqua. I dinosauri, che qui vivevano, scomparvero. In questo periodo sul fondo marino si accumularono diversi sedimenti, che innalzarono il suo fondo. Quando dopo milioni di anni il mare si ritirò, la scogliera emerse in tutto il suo bianco splendore.
Sul plateau della falesia troviamo il monumento agli aviatori britannici, che durante il secondo conflitto mondiale combatterono per la difesa del loro paese e per la libertà delle nazioni del continente. Furono 110.000 gli uomini in servizio, più della metà perirono e 11.000 furono fatti prigionieri.
Dopo quasi tre ore di camminata siamo di nuovo al camper, con un bel colorito e la soddisfazione di non aver sprecato la mattinata. Dopo pranzo riprendiamo il viaggio. Lasciamo il Sussex, ci spostiamo verso ovest ed entriamo nella contea Hamphire. Dobbiamo percorrere solo 100 km. A essere pessimisti occorrono due ore di viaggio. Invece incontriamo numerosi rallentamenti, delle vere e proprie code per immetterci nelle rotonde, assediate da tutte le parti dalle automobili del venerdì, guidate da persone stanche, in moto verso l’agognato weekend. Ci fermiamo a Hayling, nel camping Fishery Creek, un bel campeggio affacciato su un fiordo.

Sabato 7 luglio
La meta turistica di oggi, Portsmouth, non è molto distante da Hayling. Decidiamo di raggiungerla con il camper per poi fare ritorno nel pomeriggio al punto di partenza. Questa mattina non c’è traffico sulle strade. A Portsmouth posteggiamo il camper nel vasto parcheggio del centro commerciale Cascades. Per raggiungere l’Historic Dockyart, passiamo davanti alla cattedrale cattolica di St. John. Entriamo per un momento di preghiera. La chiesa offre ai turisti e ai credenti dei doni: un depliant con la storia della chiesa e la guida alla visita e un foglio con le letture e la meditazione della prossima domenica. Entrambi sono scritti anche in italiano!
La cattedrale è stata edificata nel 1882 in stile gotico francese. Sorge dove prima esisteva una cappella del 1796. Antecedentemente al 1791 non era permesso ai cattolici di avere luoghi di culto all’interno delle città. Essi celebravano le funzioni in cappelle private. Quando verso la fine del XVIII le autorità riconobbero che i cattolici rispettavano l’autorità del re, nonostante non riconoscessero la sua supremazia sulle questioni religiose, gradualmente furono abolite le leggi penali e fu permessa l’edificazione delle chiese.
L’Historic Dockyart è nato come porto nel 1495 e nel 1510 è diventato la base principale della flotta della monarchia. Oggi ospita ormeggiate e visitabili i vascelli storici della marina britannica e il Royal Navy Museum. Acquistiamo il biglietto che ci permette di visitare tutto il complesso e grazie ai nostri sessantacinque anni godiamo dello sconto. La nostra visita inizia sulla nave da guerra HMS Warrior (His Majesty’s Ship, nave di Sua Maestà). Questa nave, costruita nel 1860, rappresenta il meglio della tecnologia dell’epoca. E’ un vascello, che ha la trazione a vapore. Saliamo sul ponte scoperto e poi piano dopo piano scendiamo fino sul fondo della nave. Osserviamo il suo equipaggiamento bellico: cannoni, fucili muniti di baionette, pistole e spade. La cucina e la cambusa sono collocate baricentriche rispetto la poppa e la prua. Accanto ad esse c’è la sala dei cordami. Le cuccette dei marinai sono delle strette amache collocate tra due cannoni. La sala con la mastodontica macchina a vapore e il piano dei forni a carbone sono sul fondo dello scafo. Contrastano l’essenziale sobrietà della nave, le eleganti sale del comandante e dei suoi secondi. Qui sono presenti mobili di pregio e vettovaglie di ceramica con posate d’argento.
Sbarcati, entriamo nel cantiere navale, dove sono ancorate alcune navi, che erano di supporto ai vascelli. Dall’alto osserviamo diverse barche nei loro successivi stadi di costruzione. Davvero interessante! Sono presenti nel cantiere tanti turisti e numerosi gruppi di studenti europei, venuti in Gran Bretagna per perfezionare la conoscenza della lingua. Notiamo che mentre i giovanissimi, età scuola media, sono interessati a ciò che vedono e si appassionano, dove c’è la possibilità di essere interattivi, i più grandi sono per lo più in cerca di un angolino dove sedersi per chattare con i loro smart phone.
Avvincente è il Royal Museum Navy, tutto dedicato all’ammiraglio Horatio Nelson. Il lord, celebrato come eroe nazionale, trascorse tutta la sua vita sul mare. Imbarcato all’età di dieci anni, andò con suo zio, capitano di marina, nelle Indie occidentali. Questa prima esperienza nautica l’appassionò. Crescendo iniziò a esercitarsi pilotando piccoli vascelli sull’estuario del Tamigi. Nel 1777 prese parte a una spedizione nell’Artico e al rientro fu promosso tenente di vascello. Dopo un anno, avendo portato a termine diverse azioni belliche nelle Indie occidentali, fu promosso capitano. Nel 1793 divenne comandante del vascello HMS Agamemnon. Promosso contro ammiraglio, nel 1797 partecipò all’attacco della città di Santa Cruz de Tenerife. Durante la cruenta battaglia fu ferito molto gravemente al braccio destro, che gli fu amputato. Ciò non compromise la sua carriera. Divenne ammiraglio. Il 21 ottobre 1805 combatté al largo di Capo Trafalgar una furiosa battaglia navale contro le truppe franco-spagnole. Nonostante la disparità di forze, le navi inglesi erano ventisette, mentre quelle avversarie erano trentatre, Nelson portò la sua flotta alla vittoria. L’Inghilterra conquistò così la supremazia sui mari. Mentre era in corso la feroce battaglia Nelson incitò costantemente i suoi con una frase divenuta celebre: “England expects that every man will do his duty.” (L’Inghilterra si aspetta che ogni uomo compia il proprio dovere). La cattiva sorte era per lui in agguato. Nelson fu colpito a morte da un tiratore scelto francese. Il suo corpo fu conservato in una botte di rum fino al rientro in patria. Qui ricevette l’onore del funerale di stato. Il suo tumulo è stato posto nella cattedrale di St. Paul a Londra. Questa visita ci introduce con maggiore conoscenza sulla nave HMS Victory, la nave ammiraglia, che guidò la flotta britannica nella battaglia di Trafalgar e sulla quale morì Nelson. Di questo vascello ci impressiona la teoria dei cannoni, gli ammassi dei cordami e la bassezza dei suoi numerosi piani, che obbligano Giuseppe a camminare a capo chino.
In un altro salone espositivo osserviamo i diorami che illustrano i lavori “nascosti” operati sui vascelli. C’era il fabbro, che teneva in ordine, aggiustava e produceva gli attrezzi, gli operai tessili, i quali tenevano in ordine le vele, il cuciniere che doveva provvedere al sostentamento di tutto l’equipaggio dosando accuratamente ciò che era stato stivato nella cambusa, il medico, la cui attrezzatura dà brividi spaventosi.
Interessante è il significato della bandiera britannica. Essa nasce dalla fusione delle bandiere dell’Inghilterra, della Scozia e dell’Irlanda. La prima è bianca con la croce rossa di san Giorgio, a essa si sormonta quella della Scozia, che è blu con la croce bianca di sant’Andrea, infine si aggiunge la bandiera bianca con la croce rossa di san Patrizio, propria dell’Irlanda. E’ proprio vero che non si finisce mai d’imparare!
Terminata la visita, pranziamo con una tazza di te e un dolcetto poi, fatta la spesa per i prossimi giorni, torniamo in campeggio.

Domenica 8 luglio
Iniziamo il giorno del Signore partecipando alla messa delle ore 10.00 nella parrocchia di St. Patrick di Hayling, poi partiamo. La meta è Winchester. Giunti in autostrada, siamo inghiottiti sempre più dal traffico. In entrambe le direzioni si viaggia incolonnati a una velocità davvero modesta. Raggiunta la meta, sostiamo in un parcheggio non molto distante dal centro. E’ gratuito, perché è domenica. Questa sì, che è una buona notizia! Un piatto di pasta, un frutto e un caffè sono ciò di cui abbiamo bisogno per affrontare il caldo pomeriggio turistico nella città. In un quarto d’ora di cammino siamo in centro. Visitiamo innanzitutto la famosissima cattedrale, che è stata edificata nel 1079 in stile normanno-gotico. La sua navata di 164 metri è la più lunga di tutte le navate delle chiese gotiche d’Europa. Dietro l’altare maggiore, un tramezzo ligneo del XV secolo introduce nel coro, il più antico, grande e originale dei cori medioevali britannici. Sul fondo c’è un’imponente pala con le statue dei santi. Interessante, per i suoi affreschi del XII secolo con le scene della Passione di Gesù, è la cappella del Santo Sepolcro. Nella cattedrale sono presenti numerose tombe di re e di guerrieri e anche quella della scrittrice Jane Austen, morta in questa città il 18 luglio 1817. Tra i suoi romanzi più conosciuti ricordiamo “Orgoglio e Pregiudizio”.
Sotto l’altare maggiore c’è la cripta, che corrisponde alla parte più antica dell’edificio sacro. E’ un luogo appartato e spoglio, che invita al raccoglimento. Nella cattedrale è inoltre conservata una preziosissima Bibbia. Purtroppo di domenica non è visibile. Leggiamo su alcuni cartelloni delle informazioni. Essa è stata commissionata da Henry of Blois, vescovo di Winchester ed è stata scritta dal 1129 al 1171 in gotico miniato. E’ divisa in quattro volumi. Ogni pagina ha due colonne di cinquantaquattro righe. Ogni volume pesa 140 kg, perché finemente decorato con oro, argento e lapislazzuli.
Usciamo nell’ombroso parco che circonda la cattedrale e proseguiamo la visita della città. Raggiungiamo il Winchester College, fondato nel XIV secolo. Poco più avanti troviamo i ruderi dell’antico castello medioevale, che fu residenza del vescovo della città. Il suo nome Wolvesey (wolves significa lupi) rimanda a una leggenda. Si dice che un re sassone ogni anno pretendesse come tributo trecento teste di lupo.
Completiamo la visita della città andando al Round Table and Great Hall. Nella grande sala troneggia su una parete una grande tavola lignea, che si dice essere stata quella di re Artù. Studi analitici la fanno invece risalire al XIII secolo. Torniamo al camper. Appena aperta la porta, siamo assaliti da una vampata di calore. Il termometro segna 37°C. Giuseppe avvia subito il motore e l’aria condizionata, percorriamo poche miglia e, rimanendo a Winchester, sostiamo nel campeggio Folly Farm. Il bel prato circondato dagli alberi e il leggero venticello, rinfrescano l’aria, ciò ci consente di smaltire la stanchezza.

Lunedì 9 luglio
Riordiniamo il camper e raggiungiamo Salisbury. Posteggiamo il mezzo in un ampio parcheggio di un supermercato in prossimità del centro. Qui in Gran Bretagna, in alcuni casi, si pagano anche le soste nei parcheggi dei supermercati. Oggi abbiamo un problema: ci manca la moneta a sufficienza e la macchinetta non accetta né le banconote, né la carta di credito. Mai disperare! Un signore inglese ci regala un pound, così riusciamo a pagare il dovuto. La giornata è iniziata bene!
Con una breve camminata attraversiamo il centro di Salisbury, che conserva ancora alcune antiche case medioevali a graticcio, oltrepassiamo la porta della città e ci troviamo nel grande e frondoso parco, che custodisce la cattedrale. Essa è un maestoso edificio costruito nel XIII secolo in stile gotico. La sua facciata lo rende prezioso con i suoi archi a sesto acuto e le statue. La sua imponenza è alleggerita dallo svettante campanile che, con la sua affusolata guglia, raggiunge l’altezza di 123 metri.Entriamo, paghiamo il biglietto senior. All’accoglienza ci offrono il depliant scritto in italiano, che ci guiderà nella visita. Molto bella è la scritta della decana di Salisbury, la reverenda June Osborne: “Benvenuti alla Cattedrale di Salisbury, simbolo internazionale della cristianità e custode della Magna Carta. Vi auguriamo una piacevole visita e che, al vostro ritorno a casa, possiate portare con voi un forte senso della presenza di Dio nella vostra vita”.
La mappa ci guida nella visita. Abbastanza vicino all’ingresso osserviamo l’orologio medioevale, costruito nel 1386. E’ il più antico orologio meccanico del mondo ancora funzionante. Non ha le lancette, allo scoccare dei sessanta minuti, batte le ore. Proseguiamo lungo la navata centrale. Nel mezzo c’è il fonte battesimale, a nostro parere una nota stonata. E’ stato costruito nel 2008 in occasione del 750° anniversario della cattedrale. Più avanti fanno impressione le colonne portanti della crociera. Sono lievemente deformate a causa del peso dell’alto campanile. Speriamo che reggano! Terminiamo la visita della cattedrale osservando numerosi altri particolari dell’altare maggiore e delle vetrate. Poi attraverso una porta entriamo nel chiostro. E’ molto grande e da un suo angolo cogliamo una bella inquadratura della cattedrale con la sua guglia. La sala capitolare si apre su un lato del chiostro. E’ molto ampia, ha al centro una colonna che raggiunge il soffitto, completamente dipinto. La sala conserva la Magna Charta Liberatum, comunemente detta Magna Carta. Essa è stata emanata dal re Giovanni, soprannominato Senza Terra, per placare le ribellioni dei baroni ai quali aveva dovuto cedere alcuni suoi fondi. Era il 15 giugno 1215. E’ presumibile che la bozza gli sia stata preparata dai suoi giuristi, tra cui il vescovo di Canterbury. E’ la prima forma di accordo, che dà avvio alla monarchia costituzionale in Inghilterra. Il re da allora, se voleva aumentare le tasse o ritoccare il bilancio dello Stato, doveva consultare i baroni. “No taxation without rappresentation.” Gli articoli della Carta contenevano anche clausole su diversi argomenti, come i diritti della Chiesa e la standardizzazione dei pesi e delle misure e “l’habeas corpus” (nessuno può essere imprigionato senza processo). La Dichiarazione dei diritti Umani delle Nazioni Unite si è ispirata alla Magna Charta.
Pranziamo sul camper con un panino e poi ci trasferiamo a Stonehenge. E’ un sito archeologico neolitico nella contea di Wiltshire. E’ costituito da alcuni cerchi concentrici di megaliti, alcuni dei quali sono sormontati da elementi orizzontali. Nel centro del cerchio principale c’è una grossa pietra, che sembra essere un altare sacrificale. Il motivo per cui è stata costruita questa possente costruzione non è noto. S’ipotizza che sia un calendario astronomico.
Ripreso il camper, ci dirigiamo verso il campeggio Hollands Wood Site, che è situato all’interno della foresta del Parco Nazionale New Forest. Superata una curva, siamo costretti a rallentare, perché alcuni asini sono ai margini della strada a brucare l’erba. Poi dobbiamo fermarci perché uno attraversa la strada e quando è nel mezzo della carreggiata, si ferma voltandoci le spalle. Dopo qualche minuto si sposta e noi riprendiamo la marcia, ma un’altra sorpresa ci attende. In prossimità del campeggio esce dal bosco un capriolo, che saltellando leggiadro, supera una staccionata e scompare di nuovo nel fitto della foresta.

Martedì 10 luglio
Immersi nel grande Parco Nazionale, all’ombra di annose, maestose e nodose querce, viviamo la mattinata di questa giornata naturalistica. Ci fanno compagnia i diversi cinguettii degli uccelli, che si rincorrono tra i rami e il tubare delle tortore. I cavalli pony pascolano tra gli equipaggi. Il regolamento del campeggio vieta di avvicinarli e toccarli. Poi siamo sorpresi da una visita inaspettata. Un curioso scoiattolo grigio scende dal tronco della quercia più prossima al nostro camper fino a terra. Si guarda intorno, saltella e si arrampica di nuovo sull’albero. Qui si ferma su un ramo e sgranocchia la ghianda, che ha raccolto e trattiene con le sue zampette anteriori.
Nel pomeriggio ci prepariamo per la gita in bicicletta. Sulla mappa dei sentieri abbiamo individuato un circuito di circa 20 km con solo brevi tratti sulla strada veicolare. Il sole è caldo e la brezza è fresca. Iniziamo a pedalare. Dopo aver percorso poco più di un chilometro, siamo obbligati a fermarci, perché ci sono dei cavalli fermi sulla strada. Qui i cavalli sono come le vacche in India, sono liberi di muoversi tra i prati, i boschi e sulle strade e hanno sempre la precedenza. Lungo il tracciato troviamo alcuni cottages. Uno ci piace particolarmente. E’ costruito con mattoncini rossi, ha piccole finestre dai bianchi infissi, che si aprono simmetriche sulla sua facciata e il tetto è di paglia.
Dei fiori bianchi e lilla, che ornano la base del muro, ingentiliscono il suo aspetto, altrimenti austero.
Entriamo nella foresta. Le querce secolari formano una scura galleria, che fa intravedere solo qua e là l’azzurro del cielo. Un ruscello si acquieta e si allarga in una pozza, che diventa lo specchio di tanta bellezza.
Incrociamo alcuni ciclisti, un sorriso, un saluto e ognuno continua lungo il suo percorso. Ecco la prima salita. Il fondo ghiaioso della sterrata la fa sembrare più ripida di quello che è in realtà. Dopo una salita c’è sempre una discesa! Anche questa è impegnativa. La ghiaia fa scodinzolare le nostre biciclette, che non sono molto adatte a un fondo di questo tipo. Ora il bosco è più rado e le piante sono circondate da un fiorente sottobosco di felci e rovi. Dopo un ponticello troviamo un bivio. Quale strada prendere? Un’occhiata alla mappa e riprendiamo a pedalare. Ora le gambe iniziano a reclamare un po’ di attenzione. Breve sosta, qualche fotografia e ripartiamo, ma al nuovo bivio dobbiamo girare a destra... e a destra ci attende ancora una salita più ghiaiosa di quelle già affrontate. Facciamo meno fatica a spingere le biciclette, poi siamo di nuovo in sella. Arriviamo a Lyndhurst. Il paese è attraversato da una stretta strada trafficata nei due sensi di marcia. Preferiamo seguire l’esempio di altri ciclisti. Smontiamo dalla bicicletta e lo attraversiamo a piedi camminando sullo stretto marciapiede. Poi rimontiamo in sella e alla fine del paese riprendiamo la sterrata del Parco. Questa parte di foresta è più rada, troviamo alcuni alberi morti e notiamo diverse cataste di legna, segno di un razionale sfruttamento forestale. Il tracciato ciclistico è segnalato con delle frecce. Incontriamo ancora dei sali scendi e siamo di nuovo in campeggio. Abbiamo percorso circa 20 km, ma la stanchezza che ci portiamo addosso è paragonabile a quella della doppia distanza, pedalata su strade asfaltate. Un po’ di riposo e la salubre doccia ci rimettono in forma.

Mercoledì 11 luglio
Anche la giornata odierna la dedichiamo alla natura. Lasciamo il campeggio e ci mettiamo in marcia verso la Jurassic Coast. La geometria ci insegna che l’ipotenusa misura meno della somma delle lunghezze dei cateti. Noi però seguiamo il tracciato simile a due cateti, per percorrere strade non troppo impegnative. Qui in Inghilterra le strade ordinarie sono classificate secondo tre categorie. Ci sono le strade “A”. Sono strade che in Italia definiamo statali. Sull’atlante sono segnate in rosso. A volte la loro carreggiata è divisa in quattro corsie, due per ogni senso di marcia, spesso è molto più stretta, però ha sempre la linea di mezzeria. Altre strade sono denominate “B”. Potremmo paragonarle alle nostre strade provinciali. Sull’atlante sono segnate in giallo. Esse sono molto più strette, hanno due sensi di marcia, ma manca la linea di mezzeria. Queste strade diventano ancora più strette quando passano all’interno dei paesi. Percorrerle con un mezzo come il nostro richiede molta attenzione, soprattutto nel momento in cui s’incrociano gli autobus, i camion e i mezzi agricoli. Infine ci sono le strade che sull’atlante sono segnate in bianco. Esse sono ancora più strette. Alcune ci sono precluse, perché la larghezza massima consentita è di 6’6’’ (6 piedi e 6 pollici), l’equivalente di due metri. Anche il gioco delle unità di misura è un continuo stimolo intellettivo. Infatti, mentre riguardo ai limiti di velocità in miglio/ora e la distanza in miglia sono segnalati dal navigatore, che Giuseppe ha opportunamente convertito, le larghezze delle strade e le altezze dei sottopassi ci obbligano a un rapido calcolo (un piede corrisponde a 30 cm; un pollice a 2,54 cm).
Abbandonata la zona forestale, percorriamo un’ubertosa campagna, che ci appare come una scacchiera. Gli appezzamenti agricoli, in genere hanno una forma quadrangolare, sono coltivati secondo la tecnica della rotazione agraria con cereali, che ora biondeggiano maturi e con erbai e sono separati tra loro da scuri filari di siepi. Qua e là sono rimaste alcune zone adibite a bosco. Sui campi messi a riposo pascolano mandrie di bovini e greggi di pecore. Attraversiamo dei graziosi villaggi, formati di piccole case con il tetto di paglia, circondate da giardinetti fioriti. Esse sono raccolte intorno all’austera chiesa, costruita con pietre scure. Poco prima di immetterci sulla strada segnata in bianco, che ci condurrà alla Jurassic Coast, vediamo un curioso cartello stradale: attenzione ai carri armati. Poco dopo c’è l’indicazione per il Tank Museum, ma... sorpresa delle sorprese, dietro una curva incrociamo un vero carro armato!
All’ora di pranzo giungiamo alla Jurassic Coast. Posteggiamo nel grande parcheggio presso il centro visitatori, pranziamo con un panino e poi iniziamo la nostra escursione. Saliamo lungo il sentiero che porta sulla sommità della falesia e poi continuiamo il percorso. Questa costa deve il suo nome al periodo dell’era geologica in cui si è formata. I suoi strati rocciosi hanno subito nel tempo, a causa anche di fenomeni sismici, delle compressioni e deformazioni. Il moto ondoso e le maree, insieme all’azione del vento le hanno modellate attraverso un processo di erosione. La costa è molto pittoresca. Avanziamo fino al grande arco Durdle Door, è bagnato dal mare trasparente, del colore verde e azzurro. Ripreso il camper, ci avviciniamo alla meta di domani. A metà pomeriggio ci fermiamo nella contea di Devon a Sidmouth, nel camping Salcombe Regis.

Giovedì 12 luglio
Ieri sera alle ore 19.00 eravamo rimasti soli nel campeggio, perché gli inglesi erano andati al pub per assistere alla semifinale del campionato mondiale di calcio Inghilterra – Croazia. Quando sono rientrati dopo circa tre ore, erano tristi e mogi. Si sono chiusi in silenzio nelle loro caravans e tende. Questa mattina la tristezza per la cocente sconfitta è ancora dipinta sui loro volti e anche il cielo piange con loro l’occasione mancata. Oggi ci rechiamo a visitare due cittadine, una delle quali ha suscitato la curiosità di Giuseppe, perché nominata nel romanzo “I pilastri della terra”, scritto da Ken Follet.
Ora la pioggia è cessata, ma il tempo uggioso non ci invoglia a percorrere la strada costiera, panoramica ma stretta e tortuosa e come tutte le strade senza piazzuole di sosta, anche nei punti interessanti. Sulle arterie di maggiore scorrimento raggiungiamo la città di Exeter. Questa città, fondata dai romani, ha avuto un grande sviluppo in epoca medioevale. Di questo periodo conserva nel suo centro la cattedrale, costruita tra il XII e il XIII secolo e le vie acciottolate, che la contornano e altri ruderi. Tutto ciò è sopravvissuto ai pesanti bombardamenti subiti nel 1942.
Posteggiamo il camper nel parcheggio dei bus pagando la tariffa dei pullman. Con una discreta camminata saliamo sulla sommità della collina sulla quale si erge grande e maestosa la cattedrale. Giunti lì, ci attende una profonda delusione. Per tutta la mattinata la cattedrale è chiusa al pubblico, perché al suo interno è in corso una manifestazione privata. Ci accontentiamo di fotografarla dall’esterno. Il luogo di culto è stato costruito con pietre dalla calda tonalità dorata. Ha una magnifica facciata ornata di statue. L’interno lo intravediamo attraverso il cancello che chiude il portone centrale. Giriamo intorno alla cattedrale. Nel chiostro, che è stato trasformato in un caffè, eleganti cameriere stanno completando la preparazione dei tavoli per il rinfresco, che ospiterà i partecipanti della manifestazione in corso. Esternamente c’è il plastico della cattedrale costruito con i mattoncini Lego. La fotografia è d’obbligo. La invieremo a nostro figlio Simone, che da piccolo con i famosi mattoncini costruiva intere città, occupano tutto il pavimento della sua camera. Nella piazzetta accanto a quella della cattedrale, troviamo il mercato contadino. Vendono uova, frutta e verdura, miele e dolci. Ci lasciamo prendere dalla gola, copriamo una fetta di torta.
Anche oggi pranziamo sul camper con un panino e poi ci dirigiamo a Kingsbridge. La cittadina sorge sul fondo di un profondo fiordo. Si presenta piuttosto sciatta e anonima. Visitiamo la piccola cattedrale e poi sostiamo nella chiesa cattolica per un momento di raccoglimento. La sosta serale la facciamo presso il campeggio Island Lodge, nella campagna intorno a Kingsbridge.

Venerdì 13 luglio
Gli inglesi hanno assorbito la delusione e si stanno caricando per tifare la finalina. Anche il tempo ha superato la sua incertezza. Questa mattina c’è un bel sole e l’aria è frizzante.
La prima tappa della giornata è Buckfastleigh, dove prenderemo il treno storico. La tratta che percorreremo trainati da una vecchia locomotiva a vapore è lunga 15 km. Apparteneva alla linea ferroviaria che un tempo univa la città di Exeter con Plimouth. Ora questa tratta è limitata tra Buckfastleigh e Totnes Riverside. Giunti alla stazione di partenza, iniziamo il nostro viaggio indietro nel tempo. Tutto è rimasto come nel 1872, anno in cui è stata costruita la linea. Anche gli addetti ferroviari, bigliettaio, capostazione, capotreno, macchinisti, manovratori degli scambi con i loro capelli bianchi e le rughe rendono reale l’immaginario. Infatti, sono vecchi ferrovieri in pensione, che in modo volontario tengono viva la linea, che attrae cica 100.000 visitatori l’anno. Acquistiamo i biglietti. Nell’attesa della partenza visitiamo il piccolo museo ferroviario collocato nel deposito merci della stazione. Qui osserviamo le prime locomotive e le prime carrozze, che hanno viaggiato lungo la linea. Un quarto d’ora prima della partenza la locomotiva 6412 inizia a sbuffare. Nera, lucida, con il frontale rosso è un cavallo di ferro, che soffre il morso tirato, che lo tiene fermo. Sul tender il carbone fossile luccica illuminato dal sole. Saliamo in carrozza. I vagoni sono di prima classe. Ci accomodiamo su eleganti sedili imbottiti, dalle molle arrugginite. Il fischio del treno saluta il capostazione che gli dà via libera. Uno strattone. Lentamente gli stantuffi iniziano a spingere e il materiale rotabile ritma l’andatura con il classico ciuf-ciuf. Poco dopo la partenza, la ferrovia attraversa il fiume Dart, poi lo segue fedelmente lungo la sua sponda sinistra. Noi ci siamo accomodati sul lato opposto. Dal finestrino osserviamo pascoli e fattorie, colline e boschi. Il treno a volte sembra arrancare, ma poi riprende gagliardo e con il fischio avverte del suo arrivo sui passaggi a livello incustoditi. Dopo aver percorso due terzi della tratta, il treno si ferma a Staverton. E’ la stazione più antica della linea. Ripartiamo. Arriva il bigliettaio. Ci propone di acquistare un opuscolo che illustra la storia della linea. Costa due pound. Ciò che abbiamo risparmiato, acquistando i biglietti senior, lo spendiamo adesso. Vedendo che siamo stranieri ci chiede da dove veniamo. Quando gli diciamo che siamo italiani, esclama: “Oh Italy!”. Poi, terminato il suo giro, ritorna da noi e si siede accanto a Giuseppe, che così si esercita nella lingua. A un passaggio a livello vediamo ferme alcune persone vestite come due secoli fa. Sono comparse, sono persone che vivono così oggi, ce le siamo immaginate? Non lo sappiamo, ma la loro presenza ha reso più reale il nostro viaggio indietro nel tempo. Dopo altri cinque minuti il treno si ferma al capolinea. Scendiamo. Osserviamo la manovra di sganciamento della locomotiva e del suo riaggancio all’altro capo del convoglio. Risaliamo. Si riparte. Alla velocità di 30 km/h ritorniamo alla stazione di partenza. Ora siamo seduti sul lato che guarda il fiume. Le sue acque, scure e torbose, sono trasparenti. In alcuni tratti ha la vivacità dei torrenti, in altri si allarga e si adagia fino a sembrare immobile. Dopo mezz’ora siamo di nuovo nel XXI secolo. Riprendiamo il camper e ci rechiamo all’abbazia benedettina di Buckfast, che quest’anno celebra il millennio della sua fondazione. L’abbazia fu chiusa da Enrico VIII nel 1539 e col tempo andò distrutta. Il terreno fu riacquistato dai monaci benedettini all’inizio del XX secolo. Essi con l’aiuto della popolazione locale ricostruirono l’abbazia tra il 1907 e il 1938 così com’era in origine.
Edificata con pietre grigie e dorate, è in stile gotico. Al suo interno ammiriamo il fonte battesimale, l’altare maggiore e altri altari. Il soffitto del transetto è a cassettoni ed è tutto istoriato. Molto bello è il coro ligneo. Dietro l’altare maggiore c’è la cappella dell’adorazione. Non possiamo accedervi, perché si sta celebrando la messa. Completata la visita, pranziamo al self service dell’abbazia. Un piatto di salmone e uno spezzatino con verdure miste ci costano quanto un panino di Mc Donald.
Il campeggio dove trascorrere il weekend lo cerchiamo non molto distante dalla cittadina di Okehampton, dove parteciperemo alla messa domenicale. Sostiamo a Lydford, nel camping omonimo. E’ situato in un tranquillo angolo di campagna, lontano da strade trafficate. Alla reception siamo accolti da una coppia, che Paola definisce anziana. Giuseppe commenta: ”Anziana? Ma hanno la nostra età!” La signora vedendo dalla targa la nostra provenienza ci saluta con un cordiale “buon giorno”, le uniche parole italiane che conosce, si affretta a dirci.

Sabato 14 luglio
Notte lunga, silenziosa e molto riposante. Anche oggi splende il sole. Ci alziamo con 14°C sul camper, ma dopo un paio d’ore la temperatura raggiunge i 20°C e sicuramente salirà ancora nel corso della giornata. Dedichiamo la mattina alle faccende domestiche: pulizia a fondo del camper e bucato, sfruttando la lavatrice e asciugatrice del campeggio. Il pranzo è leggero: bresaola e frutta secca. Nel pomeriggio, gita in bicicletta: da Lydford a Okehampton lungo un’obsoleta linea ferroviaria, che è stata trasformata in una pista ciclabile.
Usciti dal campeggio, svoltiamo a sinistra, sulla strada veicolare e dopo una salitella a sinistra inizia la pista ciclabile Granite Way, che è segnata con il numero 27. Il primo tratto attraversa una zona agro-pastorale. I campi coltivati hanno già dato il loro oro e ora sulle loro stoppie pascolano greggi di pecore, che a loro volta hanno dato all’uomo il loro soffice vello e si sono sgravate degli agnelli. Poi entriamo in una lunga e umida zona boschiva. Ai margini della pista ci sono degli stagni che fervono di vita. Alcuni sono completamente ricoperti di lenticchie d’acqua. La pianta, che ha una rapida capacità riproduttiva, ha una sola fogliolina di pochi millimetri, che galleggia sull’acqua, dalla quale scende un’unica radice filiforme, flottante nell’acqua. Nell’acqua degli altri stagni nuotano numerosi girini e si sentono i gracidii delle rane, che ben mimetizzate non si fanno vedere.
Il tracciato presenta lievi salite e altrettante discese, perché segue la morfologia del territorio. Transitiamo sotto alcuni ponti. Superata di poco la metà del percorso, sostiamo a Sourton. Una piccola chiesa, circondata dal cimitero, attira la nostra attenzione. Lasciamo le biciclette ai margini della pista e scendiamo alla chiesa, dedicata a St Thomas A’ Becket. Il Santo nato nel 1118 è venerato sia dalla chiesa cattolica, sia da quella anglicana. Lord e cancelliere del regno d’Inghilterra, fu eletto arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra. Per la sua ostilità nei confronti del re Enrico II, che voleva eliminare i privilegi ecclesiastici, pagò con la vita la sua opposizione. Nel 1170 fu assassinato dentro la cattedrale di Canterbury. Il Papa Alessandro III lo proclamò santo nel 1173 e lo ascrisse tra i martiri della Chiesa.
Riprendiamo le biciclette e proseguiamo fino al lungo viadotto Meldon. Esso supera un profondo e ampio vallone dalle origini antichissime. 360 milioni di anni fa, qui c’era un vulcano attivo, del quale si vede ancora il cratere. Le sue violente eruzioni formarono il substrato di questo territorio. Successivamente la vegetazione colonizzò la zona e con la comparsa dell’uomo, si crearono i primi insediamenti, grazie alla presenza del fiume Okement. Nel 1972 il fiume è stato sbarrato con una diga, che vediamo da lontano. Il bacino artificiale contiene 300 milioni di litri d’acqua. Giunti a questo punto, decidiamo di tornare indietro. Da qui la ciclabile prosegue per altri quattro chilometri, ma il tracciato non è più interessante, perché è chiuso tra la ferrovia, ancora in funzione e una grande arteria di scorrimento. Torniamo in campeggio. Anche oggi non ci siamo risparmiati, abbiamo pedalato per circa 22 km.

Domenica 15 luglio
Lydford dista da Okehampton 15 km. Col camper raggiungiamo la cittadina e alle ore 11.00 partecipiamo alla santa messa, nella chiesa di San Bonifacio. Entrando siamo accolti da una coppia di signori indiani, che sono i genitori del sacerdote. Ci fanno accomodare su una panca e s’informano circa la nostra provenienza e la vacanza che stiamo vivendo. Poi arriva a salutarci anche il sacerdote, ci consegna il foglio degli avvisi e ci regala due agendine liturgiche del 2019. Anche questa comunità è molto viva. Man mano che la piccola chiesa si riempie di fedeli, cresce il clima di cordiale fraternità. E’ l’unica messa domenicale ed è celebrata con grande solennità. Sono cantati in latino il Kyrie, il Gloria, il Santo e l’Agnus Dei. I bambini e i ragazzi, che si preparano all’iniziazione cristiana, poco prima della liturgia della Parola escono dalla chiesa accompagnati da due catechiste. In tutto sono sei. Rientrano dopo la predica. Si dispongono davanti all’altare e sono interrogati dal sacerdote circa l’istruzione catechetica avuta. I più grandi rispondono in modo articolato, i due più piccoli con una certa timidezza. “Good” dice a ciascuno di loro il sacerdote e al termine i partecipanti alla messa battono le mani. Anche in questa seconda messa britannica la comunione è data con le due specie del pane e del vino. Ricevuta l’ostia dal sacerdote. Beviamo direttamente dal calice, che è porto da un ministro dell’eucarestia. Al termine della messa il sacerdote esce sul sagrato della chiesa e saluta i partecipanti. Prima di stringere le nostre mani saluta una famiglia tedesca: papà, mamma e tre figli.
Rientriamo in campeggio e pranziamo: risotto al curry, insalata e formaggio e per festeggiare il giorno del Signore un biscottino scozzese accompagna il caffè.
Trascorriamo il pomeriggio adagiati sulle nostre poltroncine e ci godiamo la partita della finale della Coppa del Mondo di calcio: Francia – Croazia, la Francia vince 4-2.

Lunedì 16 luglio
“E’ bello festeggiare in viaggio, un viaggio che è cominciato quarantuno anni fa”, così ci ha scritto don Bortolo, il nostro parroco, questa mattina.
Noi, dopo il weekend di riposo, riprendiamo il tour. Di mattina ci rechiamo all’abbazia di Buckland. Lasciato il campeggio, percorriamo alcuni chilometri nella brughiera. Il cielo torvo, le nubi grigie e arruffate, gli scuri muretti di pietra, che stringono la strada, le brune siepi, che fermano lo sguardo, danno un senso di desolazione. Poi ci immettiamo sulla superstrada A38 e la guida diventa meno impegnativa.
Non sempre è bene fidarsi del navigatore! Infatti, giunti nella città di Plymuoth, invece di farci continuare la marcia sull’agevole superstrada, il navigatore ci fa deviare sulla vecchia statale, stretta, trafficata e disagevole, perché gli inglesi hanno il brutto vizio di posteggiare la propria automobile davanti a casa, anche se non c’è lo spazio necessario. Praticamente posteggiano in mezzo alla strada. Il risultato è che la carreggiata, formata da due corsie, diventa di una corsia e mezza e il traffico diventa alternato. Che coda e per di più in salita! Mi convinco sempre di più che Giuseppe merita la patente C1 ad honorem!
Ripresa la superstrada, deviamo in direzione Tavistock e poco dopo prendiamo la direzione Buckland Abbedy. Gli ultimi chilometri li percorriamo in un ambiente spopolato e selvaggio. Le pecore e i cavalli pascolano allo stato brado.
Uno scoiattolo, come un fulmine, attraversa la strada davanti a noi. Giunti all’abbazia, posteggiamo nell’ampio parcheggio. Avendo entrambi la tessera del FAI ed essendo l’abbazia un sito del National Trust, entriamo gratis.
L’abbazia è stata fondata nel XIV secolo dai monaci cistercensi ed è rimasta tale fino a quando il re Enrico VIII dispose la chiusura dei monasteri. Nel 1541 il re vendette la struttura a Sir R. Grenville il Vecchio, che iniziò a trasformare l’abbazia in una residenza signorile. Dopo quaranta anni il figlio di Grenville vendette la struttura a Francis Drake, che qui visse per quindici anni e dopo un altro passaggio di proprietà nel 1948 qui subentrò il National Trust. La tenuta è ampia. Ha pascoli, orti, magnifici giardini ricchi di essenze floreali, che permettono alle api di bottinare e ai gestori del sito di produrre il miele.
Della prima struttura è ancora presente la chiesa, svuotata di ogni arredo e il fienile, dove sono allineate delle macchine agricole di qualche secolo fa.
Il palazzo residenziale merita una visita accurata. All’ingresso ci accoglie una figurante in costume. Saliamo l’elegante scala di legno, che conduce al primo piano. Netta è l’impronta lasciata da F. Drake e da sua moglie Elizabeth Sydenham. Questo personaggio, del quale osserviamo il ritratto, le suppellettili che usava, i quadri marinareschi, ci incuriosisce. Scopriamo che è stato il primo navigatore a circumnavigare il globo terrestre, impiegando tre anni dal 1577 al 1580. Per questa impresa la regina Elisabetta I gli diede il titolo di Cavaliere. Drake è anche ricordato per essere stato un pirata, un corsaro, supportato e finanziato dalla Corona per saccheggiare i mercantili spagnoli, nel tentativo di far conquistare all’Inghilterra l’egemonia navale sugli oceani. Non ultimo è stato anche un efficiente capitano durante la tratta degli schiavi. Drake morì di dissenteria durante una delle sue numerose scorrerie. Il suo corpo, chiuso in una bara, fu inabissato. Tramite testamento egli lasciò le sue ricchezze ai poveri di Plymouth.
Conservati all’interno di sicure bacheche, osserviamo oggetti risalenti al periodo monacale: manoscritti, calici, incensieri e un libro di antifone. Al piano superiore c’è la possibilità di indossare i costumi cinquecenteschi. Paola si lascia tentare e si tuffa per qualche minuto nel passato, giusto il tempo per una foto ricordo.
Scendiamo nella cucina. E’ un grande ambiente dominato dal camino. Al centro c’è un tavolo di legno massiccio, appoggiata a una parte una capiente credenza, con esposte le stoviglie. Sempre al piano terra c’è una piccola cappella. Accanto all’altare un quadretto ci consegna la preghiera che era solito recitare F. Drake: un approccio originale nell’appellarsi alla misericordia del Signore!
Pranziamo con un cappuccino e una fetta di torta. Ripartiamo e a Saltash passiamo su un lungo ponte che supera il profondo fiordo, che separa il Devon dalla Cornovaglia.
Ora ci attendono strade più strette. Dobbiamo avvicinarci alla costa e scendere fino al mare. A metà pomeriggio, posteggiamo il camper a Polperro, un pittoresco paese, con un piccolo porto peschereccio. Con una breve camminata raggiungiamo il cuore del centro abitato. Le casette bianche, con le finestre dagli infissi colorati, riflettono il caldo sole, che inizia a declinare. C’è bassa marea. I natanti dei turisti e i pescherecci riposano sull’umido fondale marino, leggermente inclinati su un lato. Sulla stretta scogliera, che delimita il fiordo, sono abbarbicate le case più moderne. Giungiamo al mare. Camminiamo sugli scogli, che trattengono piccole pozze d’acqua, colme di alghe. La brezza salmastra ci riempie i polmoni.
Tornando verso il camper, un piccolo negozio, che lavora artigianalmente l’argento, dà a Giuseppe la possibilità di fare un regalo a Paola: un paio di orecchini a forma di conchiglia. Grazie Giuseppe!
Un po’ difficoltosa è la ricerca del campeggio. Quello che avevamo individuato non riusciamo a raggiungerlo, perché sulla strada non troviamo le indicazioni e il navigatore ci indirizza su strade non percorribili con il camper. Ci indirizziamo verso il campeggio che avevamo visto giungendo a Polperro. Entriamo, la reception è chiusa. Sostiamo in una piazzuola e Giuseppe cerca di trovare a chi rivolgersi. Gli dicono che deve telefonare a un certo numero. Chiama. Chi gli risponde gli dice che per una notte non possiamo stare nella piazzuola dotata di elettricità. Ce ne andiamo. Poco distante vediamo l’indicazione di un altro campeggio. Lo raggiungiamo. Il gestore del camping Caradon ci accoglie benevolmente. Terminiamo il giorno del nostro quarantunesimo anniversario di matrimonio con una squisita cenetta casalinga: ravioli ai funghi, stufato di petto di pollo con zucchine e peperoni, mirtilli e pane con l’uva allo zafferano, tutto innaffiato con lo champagne, ricevuto come dono a Natale e conservato per questa nostra festa.

Martedì 17 luglio
Sono circa le ore 10.00, il nostro viaggio verso ovest riprende. Per raggiungere la strada A390 dobbiamo abbandonare la costa e dirigerci nuovamente verso l’interno. Ci sono alcune possibilità, sono tutte strade B. Consultiamo l’atlante stradale e decidiamo di seguire quella che ci sembra meno stretta. La galleria verde, stretta tra i muretti e le siepi non sono certo una comodità, ma forse le altre erano anche peggio. La Cornovaglia non presenta montagne, ha però un territorio collinare. La strada segue fedelmente la morfologia del suolo, quindi i tratti ripidi di salita sono seguiti da altrettante discese in forte pendenza. Le curve e le controcurve accompagnano il movimento dei dossi e dei valloni. Particolare attenzione bisogna prestarla nelle rotonde, non solo perché si girano al contrario, perciò lo sguardo va volto innanzitutto a destra, anche perché nelle rotonde occorre incanalarsi secondo l’uscita, quindi è possibile sorpassare ed essere sorpassati da entrambi i lati.
Raggiunta la cittadina di Lostwithiel, vediamo un cartello turistico che indica il paese costiero di Fowey. Giriamo subito a destra e scendiamo nuovamente verso la costa. Fowey sorge all’inizio di un profondo fiordo. Posteggiamo il camper nel parcheggio centrale, che è in forte pendenza e scendiamo lungo la ripida pedonale nella parte storica del paese. Incontriamo nel nostro cammino la chiesa intitolata a St. Fimbarrus. La sua architettura è simile a quella di altre chiese e cattedrali già visitate. Ha una struttura massiccia, è costruita in stile gotico, con scure pietre di granito. Il campanile a base quadrata è merlato e dai quattro angoli si elevano delle piccole guglie. L’interno ci svela delle belle vetrate istoriate.
Raggiungiamo il porto, un tempo era di tipo mercantile, oggi è turistico. Le viuzze sono molto animate. Su di esse si affacciano le casette tinte di bianco e numerosi negozi, in particolare tanti fornai, che espongono in vetrina il Cornish Pasties, il prodotto tipico della Cornovaglia. Ne compriamo uno tradizionale, insieme a un pezzo di focaccia al rosmarino. Con un frutto sarà il nostro pranzo.
Tornati al camper, ripartiamo e alle porte del paese in un comodo e pianeggiante parcheggio di un supermercato pranziamo. Il Cornish Pasties lo si può paragonare come forma a un panzerotto. L’involucro è di pasta frolla non dolce; il ripieno consiste in verdure tagliate a cubetti: carote, patate e cipolle e carne di manzo stracotta. A noi piace, è gustoso e saporito.
Riprendiamo il viaggio e raggiungiamo Mulion, un piccolo paese con il campeggio del National Trust. Ecco qui inizia una difficoltà che nei nostri pluridecennali viaggi in Italia e all’estero non avevamo mai incontrato. Il campeggio è al completo. Un altro campeggio è a Lizard Point, il paese più meridionale di tutto il Regno Unito. Giunti a Lizard Point, prima ci dirigiamo al faro, dove c’è un ampio parcheggio del National Trust. Il faro s’innalza da un grande caseggiato. Sarebbe bello vederlo in azione nel buio della notte, ma la sosta nelle ore notturne è proibita. Ci dirigiamo nel campeggio del paese. Purtroppo anche questo è al completo. Ci rimettiamo in strada e poco distante da Lizard Point, seguendo un’indicazione stradale, troviamo il camping Little Treithvas Farm e finalmente ci fermiamo.

Mercoledì 18 luglio
Trascorriamo una mattinata casalinga e intanto prepariamo la gita a piedi di questo pomeriggio. Usciti dal campeggio, dopo un breve tratto di strada, ci inoltriamo nel sentiero che giunge alla scogliera di Lizard Point, che è una riserva naturalistica.
Il primo tratto è nel bosco, una verde galleria che lascia filtrare la luce per il rigoglioso sottobosco. Il sentiero raggiunge la statale e riprende dopo il suo attraversamento. Ora camminiamo nella brughiera. I ciuffi d’erba sono inframmezzati dagli arbusti di ginepro, che pur essendo una conifera, sembrano fioriti, perché tra i loro rami spuntano i fiori rosa dell’erica. Verde intenso e rosa carico, sono una macchia di colore davvero bella e appariscente!
Il sentiero ha il fondo di terra e sassi, prosegue diritto davanti a noi. Giunti a un certo punto, lo troviamo occupato da possenti mucche dal manto marrone bruciato. Alcune sono sedute a ruminare, altre sono in piedi con vicino il loro vitello. Non ce la sentiamo di passare in mezzo. Deviamo sul prato. La brughiera ha il fondo accidentato e soprattutto punge, perché le foglie del ginepro sono aghi acuminati. Le mucche ci guardano impassibili con i loro grandi e languidi occhi.
Dopo quattro chilometri arriviamo alla scogliera. Le scure pareti rocciose, che precipitano nel mare, racchiudono piccole baie, lambite dall’oceano, oggi particolarmente calmo per l’assenza del vento, che di solito sferza con violenza questa costa. Il cielo è lattiginoso, però con il passare delle ore diventa limpido e permette al sole di esaltare la rugosità delle rocce, creando zone di luce e di ombra. La stratigrafia racconta la storia geologica della scogliera. Le rocce corrugate, sedimentate e compresse, provengono dal mantello suboceanico e sono formate da serpentino, dal bel colore verde scuro. Percorriamo il sentiero costiero verso Lizard Point. Esso sale sui promontori e scende nei valloni mostrandoci scorci paesaggistici di grande bellezza. A Lizard Point sostiamo in un pub per rinfrescarci con una birra e una tonica, poi camminando lungo la statale ritorniamo in campeggio. La statale, come tutte le strade, non ha un margine di sicurezza. Per fortuna gli automobilisti inglesi sono molto rispettosi dei pedoni e dei ciclisti. Quando sono prossimi a incontrarci, allargano e se dall’altra corsia giunge un’automobile, rallentano fino a fermarsi, per lasciarci passare senza rischi. Incredibile ma vero! In tutto abbiamo percorso tredici chilometri, la gita ha davvero meritato questa camminata.

Giovedì 19 luglio
Anche questa mattina la trascorriamo in campeggio. Un po’ di riposo e la messa a punto del camper occupano le ore in attesa del pranzo. Il furgone degli olandesi posteggiati accanto a noi incuriosisce Giuseppe. E’ davvero naif. E’ decorato con fiori dai colori vivaci e ha sul fianco la scritta di un sito www.woodworks-music.nl. Giuseppe va a vedere il sito, scopre che il biondo papà, dalla riccia e fluente chioma, è il chitarrista, cantante di una band. Conoscenza induce a nuova conoscenza. La band si è costituita negli anni ’90 e ha iniziato a suonare musica rock. Dall’ottobre del 2011 si è impegnata a diffondere la musica folk, suonando strumenti acustici di legno.
Dopo pranzo, ci organizziamo per la gita in bicicletta. Indossiamo i caschetti, inforchiamo le biciclette... e via a pedalare! Usciti dal campeggio, svoltiamo a destra indirizzandoci verso l’interno. Giunti al primo bivio, teniamo la destra e dopo pochi metri scendiamo dalla bicicletta, superiamo un cancello di legno, che immette su un sentiero e raggiungiamo la piccola chiesa di Santa Grada and Hols cross, attorno alla quale riposano le spoglie di alcune persone, quasi tutte vissute nel XIX secolo. La chiesa, nella sua semplicità, è un gioiellino.
Di origine medioevale, ha la torre che risale a circa il 1400. La navata e il coro furono ricostruiti nel 1862. Originariamente era intitolata alla Santa Croce poi, dal 1310 è stata dedicata a Santa Grada. All’ingresso c’è il quaderno dei ricordi. Scriviamo il nostro nome e la provenienza e come commento “very nice”. Riprendiamo a pedalare, torniamo sulla strada e al nuovo bivio ci indirizziamo verso Cadgwith. Una lunga discesa, il cui ultimo tratto ha la pendenza del 25%, ci conduce nel villaggio di pescatori. Le bianche case, dal tetto di paglia, sono raccolte ai margini della stretta baia, racchiusa tra due promontori rocciosi. Sulla spiaggia tutta ciottolosa, sono in secca i pescherecci. Alle loro spalle dei pescatori caricano dei grossi granchi su un camion. E’ la seconda operazione della filiera alimentare. Altri pescatori riposano e parlano seduti sulle panche di legno del pub affacciato al porticciolo. Due piccole pescherie vendono a prezzi convenienti il prodotto locale. Giuseppe è tentato dall’acquisto, ma la gita è ancora lunga e fa molto caldo. Tenere il pesce nella sacca nera della bicicletta, ci sembra un azzardo. Con rammarico rinuncia alla golosa cenetta.
Ritorniamo sulla via che avevamo lasciato. Ovviamente il tratto di salita più impegnativo lo percorriamo a piedi. Poi rimontiamo in sella e ci dirigiamo verso Ruan Minor. Questo paese non ha nulla d’interessante, però è utile, perché ha un piccolo emporio, dove acquistiamo il pane. Per un’altra via ritorniamo in campeggio, in tempo per assistere all’arrivo della tappa del Tour de France sull’Alpe Duez.

Venerdì 20 luglio
Oggi ci spostiamo di pochi chilometri e raggiungiamo la zona più occidentale della Cornovaglia. Di mattina sostiamo a Marazon per osservare St. Michael’s Mount. Posteggiato il camper, raggiungiamo Marazon camminando sulla spiaggia. C’è alta marea, St. Michael’s Mount è raggiungibile solo con la barca. Sulla cima dell’isolotto si staglia la fortezza costruita nel XVI secolo dove prima sorgeva l’abbazia benedettina del XIII secolo, della quale rimane la chiesa. Scavi e ricerche archeologiche hanno scoperto che l’insediamento dei monaci era già presente nel V secolo e che l’isola era abitata dall’uomo fin dall’età del bronzo. All’imbarcadero di Marazon un cartello dà i tempi delle maree. Oggi la bassa marea è calcolata approssimativamente tra le ore 16.45 e le 19.15. In questo lasso di tempo si può raggiungere l’isola a piedi.
Ripreso il camper, raggiungiamo la cittadina di Penzance e sostiamo nel camping Bone Valley. E’ un campeggio molto piccolo, ha solo diciassette piazzuole, però è dotato dei servizi essenziali. Nel pomeriggio con una camminata di mezz’ora scendiamo in città. Lungo la strada troviamo la chiesa cattolica e prendiamo nota dell’orario delle messe. Attraversiamo quartieri di grigie villette a schiera mal tenute. Anche il centro è poco curato. Il duomo è fagocitato da brutte case. Arrivati sul lungo mare, la brezza oceanica, che profuma di salmastro, ci rinfresca. L’unica vera attrattiva di questa città è il Jubilee Pool, un grande stabilimento balneare costruito nel 1935 con un’ampia piscina triangolare di acqua di mare. Più avanti diamo uno sguardo al porto peschereccio e a quello turistico, poi torniamo in campeggio.

Sabato 21 luglio
Giornata di assoluto riposo, nobilitata dalla messa prefestiva nella chiesa dell’Immacolata Concezione. I canti sono accompagnati da una musicista, che suona il trombone.

Domenica 22 luglio
Penzance è una città che non merita una sosta, però è un ottimo punto di partenza per diverse gite. Questa mattina, vestiti da perfetti montanari, scendiamo al mare. Al capolinea dei bus saliamo sul mezzo A1, la cui destinazione finale è Land’s End. Acquistiamo il biglietto valido per tutto il giorno. Puntuale, alle ore 9.40 l’autobus parte. E’ un bus a due piani, con la parte superiore scoperta. Lì in alto troviamo un’ottima posizione per osservare il panorama e scattare qualche fotografia. Abbiamo scelto il bus, invece di muoverci col camper per due motivi. Il primo è il desiderio di fare una lunga passeggiata percorrendo il sentiero della scogliera, il secondo è di non impazzire lungo la strada molto, molto stretta, incrociando altri veicoli. Scelta oculata. Infatti, la marcia del bus va a rilento. Spesso deve fermarsi, perché la strada non permette il transito contemporaneo di due mezzi. Allora sono manovre e avanzamenti millimetrici e poi di nuovo via fino al successivo intoppo.
La strada costiera offre un panorama interessante. L’ondulata campagna, divisa in molteplici proprietà, è sfruttata dall’agricoltura e dall’allevamento bovino. Le farm spiccano grigie nel verde e nel giallo dei campi. Per superare i valloni, che separano i promontori, la strada s’inclina con ripide discese e si nasconde nel fitto del bosco. Il bus è alto e ogni tanto tocca e strappa le foglie più esposte. Poi la strada risale e il nuovo promontorio si apre in un panorama più vasto. Il bus fa una fermata nel villaggio di St. Buryan, formato da poche case raccolte intorno alla grande chiesa, dal solito campanile a base quadrata, con quattro pinnacoli. Ripartiamo e dopo un altro tratto il bus si ferma a Porthcurno. Qui scendiamo e iniziamo la nostra passeggiata. Seguiamo il sentiero che conduce al Minack Theatre. Dal fondo del vallone saliamo sulla scogliera lungo un impervio sentiero. Dall’alto osserviamo la spiaggia, che ospita i bagnanti della domenica. E’ una mezzaluna dorata, racchiusa tra le due scure pareti della falesia. Sulla sommità del promontorio troviamo il Minack Theatre. Paghiamo il biglietto d’ingresso e davanti a noi si apre una meraviglia. Sulla scogliera, che degrada verso l’oceano una scalinata di granito, ricoperta d’erba, conduce giù verso il palcoscenico, dove si sta recitando una commedia in costume. Il museo presente nel luogo ci fornisce numerose informazioni. Questo teatro all’aperto ha una capienza di 750 posti. E’ stato voluto dalla signora Rowenda Cade (1893-1983), dopo che aveva assistito nel 1929 a una rappresentazione all’aperto del “Sogno di una notte di mezza estate” di W. Shakespeare. Dopo aver ospitato una rappresentazione nel giardino di casa sua a Porthcurno, decise di costruire sulla scogliera un anfiteatro. Con l’aiuto di due amici realizzò il suo sogno. La prima rappresentazione, “La tempesta” di W. Shakespeare avvenne nel 1932. Rowenda Cade nel 1976 donò il teatro a un’associazione benefica e continuò ad apporre migliorie alla costruzione fino alla sua morte.
Usciti dal teatro, percorriamo un tratto di strada asfaltata e in prossimità dell’inizio del nuovo sentiero visitiamo la chiesetta di St. Levan, il cui nome deriva celtico di Salomone, un religioso che qui visse tra il VI e il VII secolo.
Imbocchiamo il sentiero che segue la morfologia della scogliera. Esso sale sui promontori anche con ripide scale tagliate nel granito e scende nei valloni chiuso nella fitta vegetazione di rovi e ortiche. I promontori sono invece per lo più erbosi. Da essi lo sguardo spazia a 360° sul panorama spettacolare. In basso l’oceano ha l’acqua cristallina di colore blu, turchese e verde. Le sue onde lavorano alla base le falesie vive, che nel tempo si arrendono alla continua erosione. Sotto i promontori ci sono caverne e grotte di diversa ampiezza. Alcune rocce si sono ormai separate dalle falesie e sono diventate degli isolotti, sui quali nidificano i gabbiani. Archi e scogli più piccoli completano la bellezza del paesaggio. Voltando le spalle all’oceano, il cuscino vegetale formato dal ginepro e dall’erica in fiore si allunga colorato fino a dove iniziano i pascoli e i terreni coltivati. All’orizzonte le sagome delle fattorie si stagliano contro il cielo terso.
Sopra un vallone, un falco pescatore è fermo nel vento e scruta l’acqua con vigile attenzione.
La breve sosta per il pranzo al sacco ci dà l’energia per continuare il cammino. Alle ore 15.00 giungiamo a Land’s End. Siamo sulla punta estrema della Cornovaglia. Qui, proiettata verso ovest, finisce l’Inghilterra. Raggiungiamo l’ultima casa di questo Paese e ci gustiamo un gelato nell’attesa di riprendere l’autobus, che ci riporterà a Penzance. Alla fermata del bus ci raggiunge la ragazza italiana, che abbiamo incontrato a Porthcurno. Nell’attesa familiarizziamo. E’ di Parma, viaggia da sola e sta godendo qui in Cornovaglia le sue ferie.

Lunedì 23 luglio
La guida turistica, che abbiamo acquistato a Milano, indica St. Ives come una cittadina che ammalia per la sua bellezza. Questa mattina partiamo per andare a visitarla. Vedendoci partire, la coppia inglese, che ha la loro grande tenda accanto al nostro camper, ci saluta cordialmente e ci chiede se siamo diretti a casa. Giuseppe risponde che la nostra vacanza prevede ancora parecchi giorni di tour. Ci augurano buon viaggio.
Lasciamo Penzance e percorriamo la strada A30. A St. Ives seguiamo le indicazioni per il parcheggio di auto e pullman. Lasciamo il mezzo nell’ampio parcheggio dal suolo in pendenza e poi mediante la ripida pedonale scendiamo di cinquanta metri fino al centro della città. Visitiamo il duomo, che è una chiesa cattolica, la cui architettura è simile a quella delle altre chiese già visitate. Poi attraverso le stradine acciottolate raggiungiamo il mare. C’è bassa marea, il porticciolo è quasi in secca.
Il lungo mare è affollatissimo. Anche per gli inglesi è periodo di ferie. Bar e ristoranti sono gremiti e sono solo le dieci del mattino! Notiamo diverse scritte in italiano: pasta, pizza, caffè con il nome dei marchi più conosciuti anche in Italia. Percorriamo tutto il molo che chiude il porticciolo e ci volgiamo verso la città. Il quadro che abbiamo di fronte è bello, ma non ammaliante. Capiamo perché gli inglesi, quando giungono in Italia, s’innamorano dei nostri paesaggi e dei nostri borghi.
Ritorniamo al camper percorrendo altre viuzze. Alcuni negozi di artistico artigianato locale si distinguono tra gli altri piuttosto dozzinali. Da un fornaio acquistiamo un pane casereccio, un po’ caro, ma dopo tanto pane in cassetta comprato al supermercato, è ciò che ci vuole per accompagnare la cena.
Anche se un po’ storti, riusciamo a cucinare il pranzo. Poi ci mettiamo in marcia e raggiungiamo la città di Wadebridge, dove sostiamo nel campeggio Little Bodieve. E’ molto grande e adatto a chi ha dei bambini, perché ha un attrezzato parco giochi, la piscina e uno scivolo d’acqua.

Martedì 24 luglio
Oggi per la prima volta dalla partenza ci alziamo alle ore 9.00. Il cielo è coperto, ma le previsioni segnalano un miglioramento con il trascorrere delle ore.
Trascorriamo la mattinata in campeggio, poi dopo pranzo ci prepariamo per la gita in bicicletta. Dal campeggio raggiungiamo il centro di Wadebridge e dopo un altro centinaio di metri prendiamo la ciclopedonale che segue il corso del fiume Camel. Anche questa ciclabile è stata costruita sul tracciato di una vecchia ferrovia, che è stata dismessa. Gli studenti del Duchy College hanno deciso di rendere quest’area fruibile per lo sport e il divertimento. Nel 2001 il loro progetto è diventato realtà.
Scegliamo di seguire la corrente del fiume, quindi di raggiungere il paese di Padstow, che si trova in prossimità dell’estuario. Il percorso è pianeggiante e quasi tutto asfaltato. E’ frequentatissimo. Tante famiglie con bambini anche piccoli pedalano come noi per il piacere di farlo. Il fiume ha un ampio letto. Scorre placido verso la foce tra due sponde lievemente rialzate ed erbose. Anche l’acqua offre l’opportunità di praticare degli sport. Alcuni motoscafi trainano gli sciatori d’acqua. Dei velisti stanno navigando verso la foce, mentre dei canoisti risalgono la corrente.
Da lontano si vede l’estuario, chiuso tra due promontori. Qualche sosta per le immancabili fotografie sono d’obbligo. Infatti, che reportage sarebbe senza la documentazione fotografica?
Il meteo non ci ha tradito. Come previsto il cielo si è rasserenato e il sole s’impegna a scaldare l’aria. L’abbronzatura, che già abbiamo, si rafforzerà ulteriormente.
Lungo la ciclabile sono presenti un paio di chioschi per il ristoro. C’è anche chi la sta percorrendo a piedi. Giunti a Padstow, come scritto nel cartello stradale, smontiamo dalle biciclette e raggiungiamo a piedi il paese. Padstow è una cittadina che vive della pesca dei granchi, che trovano il loro habitat lungo la scogliera. La pesca dei granchi non è solo un’attività commerciale, attira anche numerosi turisti, che immergono un filo nell’acqua, legato a un retino che contiene l’opportuna esca. Con pazienza attendono che qualche granchio abbocchi. Quando sentono tirare verso il basso il retino, lo fanno riemergere dall’acqua e ripongono i crostacei in un secchiello. Giuseppe è stuzzicato dall’idea di gustare la polpa del granchio, così mentre torniamo verso la ciclabile in una pescheria del porto si assicura la cena, acquistando una vaschetta di polpa di granchio rosso e bianco.
Rimontiamo in sella. I muscoli ormai caldi ci consentono un’andatura più veloce. Rientriamo in campeggio dopo aver pedalato per 23 km. La doccia lava via anche la stanchezza.

Mercoledì 25 luglio
Alle ore 7.00 siamo già in piedi, perché oggi abbiamo un programma intenso da realizzare. Dopo un’ora e mezza siamo pronti per partire. La prima sosta la facciamo a Tintagel, un borgo non molto distante da Wadebridge. Posteggiamo il camper in un parcheggio, dove, incredibilmente è consentita anche la sosta notturna.
Ci incamminiamo verso il castello, che secondo la leggenda è stato di Mago Merlino e dove è nato re Artù. Una ripida stradicciola ci fa scendere fino a una stretta baia. Il sito apre alle ore 10.00. Siamo in anticipo di circa dieci minuti. Attendiamo con pazienza. Poi, acquistato il biglietto, entriamo. Ripide scale, dai gradini di considerevole alzata, ci conducono sulla sommità del promontorio roccioso. Il panorama da quassù è stupendo. La costa presenta falesie incise dal mare. Le insenature dalle acque turchesi si alternano agli scuri promontori, che hanno alla loro base delle grotte. Scogli e isolotti hanno intorno l’oceano schiumeggiante. Il territorio è geologicamente antico e vivo. 350-300 milioni di anni fa si sedimentarono sul fondo dell’oceano le rocce siltiti e l’ardesia. Esse subirono nel tempo pesanti eventi tettonici, che le piegarono e le fecero emergere dai fondali. L’erosione fisica e chimica dell’acqua ha prodotto nel tempo l’intricato e pittoresco quadro che sta ai nostri piedi.
Entriamo nel castello attraverso la stretta porta di legno. Alla nostra destra c’è un piccolo riparo, dove fino all’età di ottant’anni si riparava l’ultima guida, che aveva ereditato il lavoro dalla sua mamma, che a sua volta era subentrata a sua madre. Le rovine che osserviamo sono state edificate nel XIX secolo, dopo che sul luogo sono state evidenziate delle tracce e sono stati trovati dei reperti di origine medioevale. Intorno al castello c’era un insediamento. Sul promontorio più esposto sono state identificate più di cento tracce di casupole. Oggi splende il sole, fa caldo e non spira il vento. Cerchiamo di immaginare cosa poteva essere uscire dalla propria misera abitazione nel gelido inverno, quando imperversava la bufera. Certamente per quella gente la vita non è stata facile. Camminiamo su e giù per le scale. Giungiamo alla statua bronzea di Arthur King, più amichevolmente Re Artù.
Le ripide scale fatte in salita, per le nostre ginocchia sono ancora più faticose se percorse al contrario. Ora molte persone stanno salendo. Siamo contenti di essere arrivati tra i primi, così abbiamo apprezzato ogni angolo con tranquillità e Giuseppe è riuscito a scattare indisturbato le fotografie. Ritornati sul fondo del dirupo, risaliamo in paese e andiamo a visitare l’Old post Office. Entriamo gratis, grazie alla tessera del FAI. L’Old post Office è un antico edificio del XVI secolo che tre secoli dopo è stato utilizzato come ufficio postale. Le piccole stanze del piano terra e di quello superiore sono arredate con mobili e suppellettili d’epoca. Grazioso è il giardino fiorito, dove in un angolo alcune anziane signore sono intente a confezionare degli originali tappeti, che sembrano dei prati fioriti.
Pranziamo sul camper e subito dopo ci mettiamo in marcia per un lungo trasferimento di circa 200 km. Lasciamo Tintagel, ultimo paese della Cornovaglia e rientriamo in Inghilterra, precisamente nella contea Somerst. Sostiamo a Glastonbury, nel campeggio Isle of Avalon. Con una camminata di un quarto d’ora raggiungiamo il centro del paese. Sappiamo dalla guida che è un centro abitato particolare, dove si vive un’atmosfera new age.
L’impatto è piuttosto scioccante. Qui il tempo si è fermato al tempo degli hippy. Anche l’orologio della via principale si è adeguato allo spirito cittadino, non ha le lancette! L’energia spirituale alternativa, che si respira, non è altro che il profumo dell’incenso e di altri aromi, che escono dagli empori. Le case colorate a tinte forti e contrastanti contribuiscono a creare atmosfera. Per strada tante persone vivono l’oggi nel mondo di ieri. Ci dispiace per i loro bambini, che a nostro parere crescono con discutibili esempi. Cosa c’è dietro quelle pose meditative, e dentro le sigarette che fumano?
Il paese, secondo noi, merita però una sosta, perché custodisce le rovine di un’antica abbazia. Essa è stata il primo complesso monastico cristiano della Gran Bretagna. Figurava già nella mappa del mondo del 1250, disegnata da Matthew Paris. Uno dei più grandi abati del centro religioso è stato St. Dunstano, che ideò la cerimonia d’incoronazione del re, in uso ancora oggi. Diversi sono i ruderi nel vasto territorio monastico. I più imponenti sono la Cappella di Nostra Signora con la cripta e la chiesa di cui è rimasto parte della facciata. Dentro la chiesa è stato individuato il tumulo di re Artù. Accanto alla cappella di San Patrizio c’è un biancospino, che è considerato sacro, in quanto si dice che sia sbocciato dal bastone di Giuseppe d’Arimatea, colui che ha chiesto a Pilato di togliere dalla croce il corpo di Gesù e di poterlo seppellire.
Anche in questo luogo non mancano personaggi strampalati. C’è chi a gambe incrociate fissa un punto lontano, chi sembra in meditazione, chi agita le braccia con movimenti sinuosi e ripetitivi, chi dondolandosi ripete in continuazione una monotona cantilena.
E’ ormai sera, lentamente torniamo in campeggio, uno dei migliori finora trovati a un prezzo davvero conveniente.

Giovedì 26 luglio
Sarà l’aria rilassante del paesaggio new age o più probabilmente la stanchezza accumulata in questi ultimi due giorni, noi al suono della sveglia, saremmo rimasti volentieri a dormire ancora un po’. Invece ci alziamo. La giornata odierna l’abbiamo programmata divisa in due tappe. La prima è la città di Wells, che raggiungiamo in mezz’ora. Wells è la più piccola città dell’Inghilterra. Ha l’onore di essere una city, grazie alla sua imponente e importante cattedrale. Seguiamo il cartello che indica il posteggio più vicino al centro e riusciamo a posteggiare il camper proprio lì. Il segreto per trovare posto è di raggiungere le mete non oltre le ore 10.00. Ci avviamo verso il centro. Dapprima visitiamo la chiesa di St. Cuthbert, che risale al XIV secolo. Magnifico è il suo soffitto di legno. Esso è stato ridipinto nel 1963 conservando le decorazioni e i colori originali: angeli e simboli della passione di Gesù. Poi in centro varchiamo il portale ed entriamo nel parco del Bishop’s Palace. Il palazzo vescovile è stato costruito nel XIII secolo. E’ circondato da un fossato ed è famoso per essere il più antico palazzo vescovile dell’Inghilterra, ancora abitato. La nostra attenzione è però tutta rivolta alla cattedrale. Il suo aspetto esteriore imponente e massiccio non fa immaginare la delicata bellezza del suo interno. La facciata del 1230 merita un’osservazione attenta. E’ tutto un gioco di fasce orizzontali e linee verticali. I due torrioni laterali, che sembrano mozzati, trovano un certo slancio tramite le statue scolpite e i pinnacoli, che affiancano i loro spigoli. Nelle nicchie sono rappresentate delle scene bibliche. Salendo gli ordini delle fasce si trovano statue di re e di vescovi, poi di angeli. In alto, sopra il portone centrale ci sono i dodici apostoli, ancora più in alto Cristo. Possiamo affermare che la facciata è un libro scultoreo.
Non si paga il biglietto d’ingresso, tuttavia è consigliata un’offerta minima. Tenuto conto che il mantenimento della struttura è di 4500 pound al giorno e che lo stato non sovvenziona i centri di culto, offriamo il nostro contributo. Appena entrati, incontriamo una guida che sta accompagnando un gruppo d’italiani. Paola si accoda, mentre Giuseppe gira liberamente. La guida spiega che la cattedrale è stata costruita in diverse fasi per due motivi principali, uno di tipo tecnico e l’altro economico. Il primo riguarda le condizioni meteorologiche. I lavori procedevano da Pasqua a settembre, poi tutto veniva ricoperto con un tetto di paglia e si riprendeva la costruzione nello stesso periodo dell’anno successivo. L’edificio iniziato nel 1180 è stato ultimato nel XVI secolo. Il secondo motivo era legato ai costi della manodopera. Occorrevano operai che fossero abili scalpellini e buoni costruttori. Essi volevano essere pagati bene, ben 7 sterline l’anno, che per quei tempi era una cifra enorme. Il vescovo ne assumeva solo venti. Durante il periodo invernale, gli operai tagliavano le pietre necessarie alla costruzione, che erano ricavate da alcune cave distanti pochi chilometri da Wells. Un altro problema tecnico era dovuto alla cementificazione delle pietre. Non esisteva il cemento. Il legante utilizzato richiedeva un tempo lungo di asciugatura. La cattedrale cresceva di soli tre metri l’anno. Ciò che colpisce lo sguardo, appena entrati, sono gli archi a forbice ideati nel XIV secolo per impedire lo sprofondamento delle fondamenta della torre centrale. In origine la cattedrale era tutta affrescata, ma con la riforma è stata scrostata e privata di ogni immagine sacra. Durante una recente opera di restauro è affiorato su un pezzo di soffitto un motivo decorativo. Questo è stato riprodotto fedelmente e ora tutto il soffitto appare com’era in origine. Avanzando verso l’altare maggiore, la guida si sofferma a commentare le cappelle votive. Esse erano realizzate da famiglie nobili, che si assicuravano nel tempo le messe di suffragio. La costruzione della cappella votiva dava un buon introito alle casse della cattedrale. Ciascuna famiglia versava 12 sterline l’anno. Il re Enrico VIII e poi suo figlio Edoardo VI riformarono in senso protestante la Chiesa d’Inghilterra. Edoardo VI divenne re all’età di dieci anni. Il suo governo fu influenzato dallo zio, suo reggente e dall’arcivescovo di Canterbury Thomas Crammel. Egli tolse i beni alla Chiesa. I vescovi furono costretti a vendere gli arredi sacri e anche gli ottoni che ornavano le tombe. Ancora oggi sul pavimento della cattedrale si vedono le pietre tombali private della croce o di altre decorazioni. Incantevole è il coro, la parte più antica della cattedrale.
Pochi minuti prima delle ore 11.00, ritrovo Giuseppe ai piedi del grande orologio astronomico, formato da cerchi concentrici. Il marcatore del sole indica l’ora sul quadrante suddiviso in ventiquattro ore, una stella indica i minuti e poi si osservano anche le fasi lunari. Dalla sacrestia esce un pastore. Allo scoccare dell’ora sopra l’orologio si mette in moto la giostra dei cavalieri, mentre in alto a destra un personaggio batte le ore.
Subito dopo il pastore invita i presenti a raccogliersi in un momento di preghiera. Recuperato il silenzio, legge un’invocazione per la pace nel mondo. Apprezziamo molto questa iniziativa. Poi proseguiamo la visita. Particolari sono i quadri della Via Crucis. La guida dice che sono moderni e sono stati dipinti da una pittrice bulgara, specializzata in icone. Terminiamo la visita percorrendo il chiostro.
Ritorniamo al camper, è quasi l’ora di pranzo, ma il tempo della sosta sta per scadere. Partiamo, dicendoci che pranzeremo nella prima area di sosta che incontreremo. In marcia, percorriamo la statale A39 senza poterci fermare neppure nei paesi, perché nei centri abitati gli unici parcheggi sono quelli dei pub e dei ristoranti. Raggiungiamo e ci immettiamo nell’autostrada M5. Qui ci sarà un’area di servizio, ci diciamo all’unisono. L’orologio segna le ore 13.00. Speranza vana. Bypassiamo Bristol e dopo qualche chilometro percorriamo il ponte sul fiume Severn, il cui estuario si apre in una profonda baia. Al termine del viadotto, il cartello con il drago rosso e la scritta Croeso (= benvenuto) ci annuncia in gaelico che siamo in Cymru, cioè in Galles.
Usciamo dalla grande arteria a Caerleon. Posteggiamo nel parcheggio gratuito di fronte all’anfiteatro romano e accanto al campo di rugby, che ha sulla cima dei pali due elmi. Finalmente pranziamo con un panino e della frutta. Sono quasi le ore 14.00. Poi visitiamo il sito archeologico. Era un avamposto della legione romana al tempo di Augusto, nel 75 d.C. e rimase tale fino alla fine del III secolo. Non c’è molto da vedere. Dell’anfiteatro rimane la sua forma ovale e della caserma le basi delle diverse costruzioni. A noi italiani abituati alle rovine romane del nostro Paese, ben conservate e curate, questi reperti dicono poco, però ci parlano della vastità e della potenza dell’Impero Romano. Ripreso il camper, siamo vittime di un brutto scherzo che ci fa il navigatore. Per condurci in autostrada ci fa imboccare una strada B, che inizialmente è discretamente praticabile, ma poi all’improvviso diventa talmente stretta, che il nostro camper la occupa tutta. Inoltre è tortuosa e le siepi non permettono di vedere oltre le curve. Un tratto da vero brivido. Noi e i veicoli che incrociamo siamo costretti a fare grandi manovre per riuscire a passare. Alla fine, usciamo vincitori da questo guazzabuglio. Sostiamo nel campeggio Tredegar House, a metà strada tra Newport e Cardiff. Le rimanenti ore del pomeriggio e la sera le dedichiamo al riposo.

Venerdì 27 luglio
Oggi è la grande giornata astronomica, nella quale osservare e fotografare l’eclisse totale di luna e la stupefacente luna rossa. Purtroppo qui il cielo è coperto e le previsioni danno pioviggine verso sera. Peccato, perché l’evento, con la luna in apogeo, si ripeterà solo nel 2100. Lunga vita a noi, ma è quasi certo che non saremo qui! Forse dal cielo osserveremo il fenomeno ancora meglio!
Con l’autobus di linea X5, la cui fermata dista pochi minuti dal campeggio, ci rechiamo a Cardiff, la capitale del Galles. Il viaggio dura mezz’ora. Alle ore 10.30 scendiamo dal bus di fronte al Principality Stadium, il grande impianto sportivo polivalente, utilizzato prevalentemente per il rugby, sport nazionale dei gallesi. Esso è stato costruito nel 1999 in occasione dei Mondiali di Rugby. Era stato chiamato Millennium Stadium. Ora il suo nome è quello dello sponsor, un’azienda di costruzioni. Questo impianto mastodontico, che può ospitare 74500 spettatori, sorge nel centro della città. Esso è stato costruito, dove c’era il National Stadium, edificato negli anni ’50 e ha accanto il primo campo di rugby Arms Park, che risale al 1881. Non siamo abituati a vedere un grande impianto sportivo nel cuore della città. E’ come se a Milano lo stadio di San Siro sorgesse in piazza Castello. C’è una spiegazione che chiarisce l’apparente anomalia. Quest’area, come moltissime terre della città e dei dintorni, era di proprietà della nobile famiglia Bute, che alla fine del XVIII secolo aveva conquistato il monopolio sull’estrazione, il trasporto e il commercio del carbone. Quando nel 1947 l’industria del carbone fu nazionalizzata, i Bute donarono alla città il castello e le terre circostanti a condizione che la zona fosse destinata al divertimento.
Volgiamo le spalle allo stadio e ci rechiamo al castello. Entriamo e alla biglietteria chiediamo due biglietti senior. Ci dicono che siamo capitati nel momento in cui è praticato uno sconto speciale e che ci conviene il biglietto scontato. Incredibile ma vero! Ogni tanto un po’ di fortuna non guasta!
Il castello attuale presenta edifici di epoche differenti. Conserva i ruderi dell’antico castello normanno e il palazzo neogotico costruito in epoca vittoriana. Iniziamo la visita percorrendo il camminamento coperto lungo le mura. E’ nella semioscurità. Un audio dice che durante la II guerra mondiale, quando la città è stata aspramente bombardata, è stato utilizzato come rifugio antiaereo. Alla spiegazione segue il suono della sirena, che avvisa del pericolo incombente e poi il rombo degli aeroplani e la deflagrazione delle bombe. Un’esperienza inattesa e terrificante, che ci richiama alla mente i racconti veri delle nostre mamme, le loro paure, ma anche qualche episodio, che fa sorridere. Usciamo e percorriamo il camminamento esterno delle mura. Qui Giuseppe trova delle interessanti inquadrature. In un angolo la testa bronzea di un soldato ricorda tutti i militi morti, eroi sconosciuti ai più, che hanno sacrificato la loro vita per difendere la libertà.
Scesi dalle mura, attraversiamo il prato centrale, dove stanno smantellando un palco, e ci rechiamo al castello normanno. Una ripida scala ci conduce all’interno, dove su un muro si coglie la sagoma di un grande camino. Saliamo ancora fino a un terrazzino e poi tramite una scala a chiocciola, fino quasi in cima alla torre. Abbiamo davanti a noi la città con i suoi contrasti. Dietro i classici edifici britannici del XIX secolo, spuntano i moderni grattacieli. Ora ci aspetta il palazzo vittoriano. Accanto ad esso, c’è la gabbia falconiera, Cinque falchi sono appollaiati sui loro trespoli e tenuti lì con un laccio. Questi animali, nati per volare in alto nel cielo, costretti a stare fermi in un’angusta voliera, ci fanno pena. Entriamo nel palazzo vittoriano. Ci aspettiamo di vedere belle sale, arredi suntuosi. Ebbene, ciò che si apre davanti ai nostri occhi è molto di più. Le sale hanno una ricchezza inimmaginabile e sono rese ancora più belle dalle finestre con i vetri istoriati. Il locale più grande e più spettacolare è la sala dei banchetti, situata nella parte più antica dell’edificio. Nel 1873 lord Bute ordinò la costruzione di un salone in stile medioevale per impressionare i suoi ospiti. Per realizzare questo suo desiderio furono unite sette camere. Le decorazioni presenti sui lati lunghi del salone rappresentano storie del XII secolo, quando Matilda, figlia del re, combatté contro il cugino Stefano, per difendere il trono del padre. Sui lati corti della sala, da una parte c’è un grande tramezzo di legno intagliato sopra il quale c’è la galleria dove i musici suonavano durante i banchetti del lord. Di fronte c’è un mobile scolpito, che all’occorrenza era trasformato in altare. In un’altra saletta osserviamo un bel camino e i ritratti dei marchesi Bute, vissuti nel XIX secolo.
Per chi come noi ha la passione dei libri e della lettura, la biblioteca è il luogo dal quale non si vorrebbe mai uscire. I temi della biblioteca sono la letteratura e la lingua. Sopra il camino cinque personaggi mostrano la scrittura delle cinque lingue antiche: cuneiforme, geroglifici, segni runici, ebraici, greci. Le pareti della biblioteca sono ricoperte di tessuto rosso e oro e sono decorate con figure di putti. Anche le librerie hanno decorazioni scolpite e intarsi operati da artigiani che lavoravano nei laboratori del lord. Curiosando tra gli scaffali, osserviamo la collana “Storia d’Europa”. Ci chiediamo, cosa direbbe oggi lord Bute riguardo la Brexit?
Usciti dal castello, dopo un pranzo veloce, visitiamo la chiesa battista di St. John, che insieme al castello normanno sono le uniche vestigia medioevali rimaste nella città. La chiesa è stata edificata nel 1180. Del primo edificio rimane il portale e l’arco del presbiterio. La navata attuale risale al XV secolo.
Completata la visita prettamente culturale della città, cerchiamo di conoscerla da un punto di vista antropico. Percorriamo le gallerie coperte sulle quali si affacciano empori commerciali e pub. In uno di essi, Giuseppe riconosce il volto di Gatland, l’allenatore della Nazionale di rugby gallese. Sorseggia una birra e sta parlando con due giovani, presumiamo giocatori di rugby.
E’ venerdì pomeriggio, per le strade affollate c’è già qualcuno che inizia a essere un po’ troppo allegro. Canta e ferma casualmente le persone cercando di dire qualcosa. Gli giriamo al largo. La folla che riempie le strade è piuttosto eterogenea. Spicca la realtà multietnica della città. Accanto alle ragazzine in minigonna, passano altrettante giovani con lo chador. Le indiane in sari si mescolano con le donne dai capelli multicolori. Più omogenea è la popolazione maschile.
Entriamo nel Market ad Caerdydd, cioè il mercato generale di Cardiff. C’è ogni genere merceologico. Giuseppe compra un pesce per la sua cena di domani, Paola compra i ferri da maglia, così potrà sferruzzare un po’.
Lentamente ci avviamo verso il capolinea del bus, che ci riporterà in campeggio. Sorpresa! La mitica 45, che passa sotto casa nostra ci ha seguito fin qui ed è cresciuta: ora è un bus a due piani!
Seduti comodamente sul bus X5, osserviamo i quartieri della città, sempre più periferici. Cardiff, capitale del Galles dal 1955, pur contando poco più di 340.000 abitanti, è piuttosto estesa, perché le sue abitazioni sono casette mono o bifamiliari. Intorno al centro c’è una cintura residenziale signorile e ben tenuta, segue una zona più modesta, ma altrettanto ordinata. Attraversiamo poi una fascia con grandi centri commerciali, capannoni e saloni automobilistici. Al di fuori di questa cerchia, sorgono altri quartieri. Alcuni sono popolari e piuttosto squallidi, perché tenuti male, altri sono più moderni, segno di una città in espansione. Inizia a piovere. Il bus s’immette nella M4 e quando dopo qualche chilometro esce, noi scendiamo. Per nostra fortuna la pioggia intensa, che ha accompagnato il viaggio, è cessata. Ad attenderci davanti al camper c’è uno scoiattolo, che vedendoci si arrampica sulla rete di recinzione e da lì salta su un ramo dell’albero che sta dietro il nostro mezzo.
E’ ormai sera. Il cellulare di Paola impazza. La luna rossa e il piccolo puntino di Marte sono visti a Cervia, Livorno, Roma, Taormina. Amiche, ex colleghe, cugini le inviano le foto in diretta fino a quando non ci si lascia augurandosi reciprocamente la buona notte.

Sabato 28 luglio
Notte tempestosa: il vento forte e sibilante e gli scrosci della pioggia, improvvisi e violenti, hanno interrotto più volte il nostro sonno.
Anche questa mattina la condizione meteorologica non muta. In un momento di tregua scarichiamo e ricarichiamo l’acqua, poi partiamo.
Voltiamo le spalle al canale di Bristol e ci dirigiamo verso l’interno. La meta è il Parco Nazionale Brecon Beacons. Lasciata l’autostrada M6, imbocchiamo la nazionale A470, che è per molti tratti a due corsie per senso di marcia. Si viaggia agevolmente, ma la corsa è spesso interrotta dalle rotonde, che ci mettono in tensione. Infatti, gli inglesi alla guida sono veloci, flemmatici e arroganti. Veloci, perché la loro velocità media è piuttosto elevata con qualsiasi veicolo viaggiano: utilitarie, auto di media o grossa cilindrata con o senza caravan al seguito, camion e pullman. Flemmatici, perché quando sono fermi in coda, non si scompongono e rispettano le fila che si sono create. Arroganti, perché non si preoccupano dei pedoni fermi davanti alle strisce e di chi ha qualche incertezza. Ne consegue che non si arrestano ai passaggi pedonali o com’è capitato a noi oggi, essendoci incolonnati nella rotonda nella corsia sbagliata, non abbiamo potuto continuare il giro. L’errore odierno ci è costato qualche chilometro in più. Infatti, costretti a uscire su una strada che non era quella che dovevamo seguire, abbiamo proseguito per quella strada fino a quando è stato possibile fare inversione e tornare alla fatidica rotonda.
Man mano che procediamo il paesaggio cambia. Abbandoniamo una zona prevalentemente agricola e ci introduciamo in un ambiente collinare, dalla vegetazione alpina. Sostiamo brevemente a fotografare un laghetto, poi ci alziamo ancora un po’ in altitudine. Ora le colline sono spoglie, rigate dai rivoli che scendono ripidi sui loro versanti, punteggiati di bianco per le pecore che vi pascolano. Povere bestie! Tosate fino all’incarnato della cute, oggi sentiranno molto il freddo, considerato che la temperatura è di soli 12°C!
All’ora di pranzo giungiamo al campeggio di Brecon Beacons. Il pomeriggio piovoso non ci invoglia a uscire. Poi, alle ore 17.00 coperti e riparati dalle giacche impermeabili, ci rechiamo al paese di Brecon, che dista poco più di tre chilometri, per partecipare alla messa prefestiva. La strada che percorriamo è la ciclopedonale, che costeggia il canale che ha il nome del paese. Brecon è stato nel periodo compreso tra il 1789 e il 1960 un centro minerario per l’estrazione del carbone. Oggi è poco vitale. La chiesa cattolica è dedicata a san Michele. Ci accoglie il parroco originario dell’India. S’interessa circa la nostra nazionalità e la città di provenienza. Ci dice di avere una sorella a Savona e ci chiede se conosciamo la città. Vuole conoscere anche il nostro nome di battesimo. Commenta: “Bene, nomi biblici!” Al termine della messa, ci saluta sulla soglia della chiesa e ci augura un felice soggiorno.
Torniamo verso il campeggio. L’occhiata di sole, allunga le nostre ombre davanti a noi. All’unisono diciamo: “Quando il sul turna in drè, a la matina ghe l’aqua ai pè.” Il detto si avvera senza attendere domani. All’imbrunire ricomincia a piovere.

Domenica 29 luglio
La tempesta di vento e pioggia ci obbliga a stare chiusi nel camper. Una giornata di dolce far niente ogni tanto non guasta! Il clima ci consiglia un buon pranzetto montano. Polenta e formaggio sono la soluzione. Verso sera decidiamo di prolungare la nostra permanenza a Brecon, perché le previsioni meteorologiche prevedono un miglioramento, che ci consentirà di fare la gita in montagna che abbiamo individuato.

Lunedì 30 luglio
Il tempo è ancora incerto. Le nubi basse avvolgono la montagna meta della nostra gita. Rimandiamo l’escursione. Tra uno scroscio di pioggia e un’occhiata di pallido sole, ci mettiamo in cammino lungo l’alzaia, che costeggia il canale e raggiungiamo il paese. E’ una bella passeggiata immersa nella natura. Alla nostra sinistra c’è un vasto pascolo e sullo sfondo un crinale montuoso, dove si sta praticando il taglio degli alberi. Alla nostra destra troviamo il canale dalle acque trasparenti e brune, perché torbose. Esso scorre lento, riflettendo la rigogliosa vegetazione. Il canale è lungo 35 miglia, pari a 56 km. Esso collega Brecon con Pontymoile, poi prosegue fino a Cardiff, ma non è più navigabile a causa di alcune interruzioni dovute alla costruzione di strade. C’è un progetto che intende riaprire completamente questa via d’acqua. Il canale è entrato in funzione nel 1799. In origine era utilizzato per il trasporto del carbone, dei minerali di ferro e del calcare, estratti in questa zona. Le chiatte erano trainate dai cavalli, che percorrevano l’alzaia. Il minerale, una volta sbarcato, era caricato sui carrelli e portato alle fucine e ai forni di lavorazione. Notizie storiche informano che l’utilizzo del carbone risale al Medioevo e il calcare era usato come pietra da costruzione. Il castello di Brecon, edificato nel XIII secolo, è di calcare. Con il passare dei secoli si scoprirono altre potenzialità di questa pietra.
Già nel 1755 qui a Brecon erano attive le prime fornaci della Società Agricola gallese Breconshire. Il calcare era trasformato in calce mediante una sua cottura. Questa calce rudimentale era utilizzata in agricoltura per neutralizzare l’acidità del suolo e rendere più fertile il terreno.
Nel XVIII secolo s’iniziò a trasformare il calcare in calce mediante un processo industriale. In prossimità del paese osserviamo ciò che rimane dei forni di cottura del calcare. Qui le pietre erano portate a una temperatura di 900°-1000°C. Attraverso questo trattamento il calcare libera l’anidride carbonica, perde circa il 40% del suo peso e si trasforma in calce viva. La calce viva è poi spenta mediante un processo d’idratazione. Queste operazioni oggi sono fatte in sicurezza, mentre nei secoli passati erano molto rischiose.
Camminiamo tranquilli lungo la bella pedonale, incrociando altre persone a passeggio come noi e alcuni ciclisti. Sull’acqua scorrono alcune barche. Una è green, perché ha il motore elettrico. Giunti a Brecon, gironzoliamo per le sue strade. Il paese è piuttosto trasandato, però alcuni suoi angoli sono pittoreschi.

Martedì 31 luglio
Oggi il tempo è bello, ma io, Paola, non mi sento bene. Rinunciamo alla gita in montagna. Verso sera Paola ha la febbre alta, quasi 40°C. Niente paura! Abbiamo portato la Tachipirina.

Mercoledì 1 agosto
La febbre di Paola continua a essere molto alta. Rimaniamo fermi.

Giovedì 2 agosto
La febbre è un po’ calata. Ci rechiamo al pronto soccorso del piccolo ospedale di Brecon per una visita. Secondo il medico, che non ha visitato Paola, c’è un’infezione delle vie urinarie. Ha prescritto un blando antibiotico.

Venerdì 3 agosto
La febbre si è un po’ abbassata. Paola se la sente compiere un breve spostamento. Andiamo a Hay-on-Wye, che si trova proprio al confine tra il Galles e l’Inghilterra. Il paese è visitato solo da Giuseppe. Hay-on-Wye è un paese tutto votato al riciclo, in particolare dei libri usati. Deve la sua fama al libraio indipendente Richard Booth, che per primo aprì qui, nel suo paese, un negozio di libri usati. Lungo la strada principale sono numerose le librerie. Giuseppe ne visita alcune. Sono grandi, si sviluppano su diversi piani. Gli scaffali sono ordinati secondo i temi trattati. Una meraviglia! Il desiderio di acquistare qualcosa è grande, ma l’ostacolo della lingua lo frena, anche se nel complesso la comprende e la parla. E che dire delle vetrine! Un museo vintage. Giuseppe vede esposte in una vetrina: la mitica colla Coccoina, una delle prime macchine per scrivere, le gomme Pellikan rosse e blu sempre presenti nei nostri astucci di scolaretti, le matite Staedtler e altro ancora. Giuseppe ha tralasciato gli empori, che sicuramente avrebbero fatto brillare gli occhi a Paola. Negozi che avevano in vendita oggetti vari confezionati con scarti di stoffe e filati.
Nel pomeriggio ci rechiamo al campeggio Dolaucothi. E’ un camping immerso nella foresta, molto spartano, adatto ai camper, perché offre solo l’elettricità e la possibilità di carico e scarico. Intanto la febbre non scende.

Sabato 4 agosto
La febbre alta di Paola ci costringe a restare fermi.

Domenica 5 agosto
Dovevamo raggiungere la città di Swansea per partecipare alla santa messa, invece la stiamo raggiungendo per recarci al pronto soccorso del Policlinico, clinica universitaria. La zona che stiamo attraversando è molto bella. Sotto il cielo sereno e il bel sole agostano, brilla dei suoi colori migliori. E’ un territorio rurale, dove i piccoli villaggi si allineano ordinati lungo la strada. Le fattorie di pietra grigia sono il segno antropico sui dolci pendii collinari.
WWW la sanità lombarda! In ospedale anche questa volta hanno misurato a Paola la temperatura e la pressione e l’hanno dimessa senza il referto, qui non si usa, consigliandola di tenere controllata la febbre con il paracetamolo. Per fortuna, ciò che non hanno fatto le medicine, sembra che lo stia facendo il tempo.
Nel pomeriggio sostiamo nel campeggio di Gowerton di Swansea.

Lunedì 6 agosto
Finalmente si riparte. Pur dovendo rinunciare ad alcune tappe, oggi decidiamo di tornare un po’ indietro per visitare il Parco Dinefwr. Esso è una grande tenuta di 324 ettari, lasciata allo stato naturale. Nel punto di accoglienza mostriamo le nostre tessere FAI, ed essendo il Parco del National Trust, ci consegnano il biglietto che ci permetterà di visitare gratuitamente la Newton House.
Guardando la mappa dei sentieri decidiamo come organizzare la giornata. Questa mattina visiteremo il Parco, i suoi ambienti e le rovine del castello. Dopo pranzo il palazzetto. Il cielo è coperto. Ci avviamo lungo il sentiero che conduce verso il colle dei daini. Saliamo sulla collina. Non avvistiamo gli animali. Lasciamo il sentiero principale e seguiamo le tracce biologiche, che ci conducono nel bosco. Le grandi querce con i loro grossi rami tortuosi creano un ambiente fiabesco. A terra sui rametti marcescenti i funghi saprofiti collaborano a chiudere la catena alimentare. Oltre il bosco, poco più in basso, c’è un vasto prato. Scendiamo e in fondo a esso scorgiamo i daini, che pascolano tranquilli. Giuseppe monta il teleobiettivo. Ci avviciniamo un po’, senza però spaventarli. Sono un bel branco. Alcuni esemplari giovani si rincorrono. I pochi maschi, dai grandi palchi, a testa alta vigilano. Le femmine sono strette intorno a loro, sicure di essere protette.
Lasciamo i daini alla loro quieta vita e riprendiamo il sentiero. Un cancello separa l’area dei daini dalla zona umida. Camminiamo su una lunga passerella di legno che costeggia lo stagno. Le canne e le piante acquatiche ricoprono parte dello specchio d’acqua. Alcune anatre trovano ospitalità e cibo nascondendosi nella vegetazione. Dei rami, conficcati sul fondo dello stagno, offrono agli uccelli un punto d’appoggio per le pulizie quotidiane. La zona umida prosegue ben oltre lo stagno immersa nel bosco. Gli alberi gareggiano in altezza. Tra tutti svetta una sequoia.
Affrontiamo una breve salita per raggiungere i ruderi del castello medioevale. Come tutti i ruderi, anche queste rovine sono più spettacolari da fuori. Eretto nel XII secolo, il castello era una fortezza, che dava rifugio alla popolazione che viveva ai suoi piedi, quando calavano gli highlanders, con terribili scorrerie. Scuro e tetro il castello domina dall’alto la vallata del fiume Tywi. Il panorama lo vediamo bene dal camminamento che è sulla cima delle mura perimetrali del castello. Il paesaggio ora è illuminato dal sole, che ha bucato il grigiore mattutino. Sono quasi le ore 13.00, quando siamo di nuovo al camper.
Il pranzo e un po’ di riposo ce li meritiamo.
Solo pochi passi ci separano dalla Newton House, il palazzetto residenziale del XVII secolo. Entriamo e siamo subito avvolti in un’atmosfera d’altri tempi. Il dolce suono dell’arpa guida la visita delle prime sale, arredate in stile edoardiano. Scendiamo nello scantinato, dove è descritta la vita della servitù. Lì si trovano la cantina, la sartoria, il deposito delle valigie, la cassaforte con l’argenteria. Al primo piano si ricorda, che il palazzetto durante la II guerra mondiale, è stato utilizzato come ospedale.
Completiamo la visita andando nel giardino sul retro del palazzo. Esso è organizzato all’italiana, con basse siepi di bosso e la fontana centrale.
Anche oggi, abbiamo camminato i nostri sette chilometri. Ritorniamo al campeggio Dolauchoti. I gestori ci riaccolgono con grande cordialità, interessandosi subito sullo stato di salute di Paola, che sta meglio, anche se la febbre non l’ha abbandonata definitivamente.

Martedì 7 agosto
La giornata odierna la potremmo definire: washing day. Per questo motivo Giuseppe ha individuato a poco più di 30 km un campeggio attrezzato con lavatrice e asciugatrice. Esso appartiene all’associazione Caravan and Motorhome Club. Noi, su consiglio del gestore del campeggio di Brecon, siamo diventati soci dell’associazione. Infatti, in questi campeggi, il costo giornaliero per i non soci è maggiorato di dodici pound. Inoltre i soci hanno la possibilità di prenotare l’arrivo e la permanenza. Piove. La pioggerellina sottile e nebulizzata crea una sorta di nebbiolina, che opacizza il paesaggio. A circa metà strada sostiamo nella piccola città di Lampeter per visitare la sua Università, Trinity Saint David, fondata nel 1822. Mentre ci rechiamo verso l’università, siamo attratti da una scenetta al contempo buffa e drammatica. Un gattino si sporge oltre la grondaia dal tetto di una casetta. Miagola disperatamente. Chissà com’è finito lassù. Dalla casa esce la sua padrona, che a parole cerca di indirizzarlo verso la zona del tetto che ha sotto la tettoia che ripara la porta d’ingresso, nella speranza che possa fare un ardito balzo sulla tettoia e poi con un altro balzo meno impegnativo raggiungere la terra. Il gattino non capisce, continua a miagolare. Accorre anche la vicina e giunge anche la parrucchiera che ha il negozio poco più in là. Tutte e tre cercano a gesti e a parole di indicare al gattino la possibile soluzione. Il micetto è terrorizzato e impietrito. Allora la padrona di casa prende una scala. La parrucchiera sale e cerca di raggiungere la tettoia, ma la scala è corta. Il tentativo fallisce. Poco più avanti, lungo la strada, è fermo un furgone di manutenzioni. La padrona del gattino lo raggiunge e parla con l’operaio. Questi, incredulo, si sporge dal finestrino. Noi abbandoniamo la scena e raggiungiamo l’ateneo, che è circondato da un parco. Troviamo aperto il portone dell’università. Entriamo nell’austero palazzo. Nel cortile interno una fontana dona un po’ di leggerezza all’ambiente.
Torniamo al camper. Il gattino non è più sul tetto. In mezz’ora di viaggio raggiungiamo il campeggio Shawsmead, di Oakford. Nel pomeriggio tra un bucato e un’asciugatura visitiamo il piccolo villaggio, che ha ricevuto il riconoscimento di essere il borgo della regione tenuto meglio.

 

Mercoledì 8 agosto
Ieri abbiamo raggiunto la costa occidentale del Galles, nella contea Ceredigion, un antico regno gallese. In questa contea, più che in altre, si è conservata maggiormente l’identità nazionale, grazie all’isolamento, che la contea ha avuto nei secoli scorsi, perché non interessata allo sfruttamento minerario e alla conseguente industrializzazione.
Anche questa mattina il cielo mostra una notevole varietà di sfumature di grigio.
Partiamo e dopo pochi chilometri ci fermiamo nel grande parcheggio di Aberaeron. E’ un piccolo paese, dalle belle casette in stile georgiano, dipinte con colori vivaci. Questa luce fosca non premia la bellezza del borgo. Passeggiamo tra le sue vie, già animate e respiriamo l’aria di mare, che il vento porta con sé.
Dopo il caffè di metà mattina, ripartiamo. Ora la strada è davvero panoramica. Si snoda alta lungo la costa. Intanto il cielo si è aperto e il mare riflette i colori della natura che lo circonda: il giallo dei campi, che scendono fino a riva, il verde delle scogliere, ricoperte di vegetazione spontanea, l’azzurro del cielo e in lontananza, con il blu intenso mostra la sua profondità.
All’ora di pranzo giungiamo ad Aberystwyth. Il posteggio che abbiamo individuato è al completo. Siamo fermi, un po’ indecisi su dove andare, quand’ecco un signore vestito da ciclista bussa al finestrino di Giuseppe. Ha una bella bicicletta italiana “Bottecchia” e, forse vedendo che siamo italiani, si preoccupa per noi. Compreso il nostro problema, ci dice che poco più avanti, sulla sinistra, c’è un ampio parcheggio, dove sostano anche i pullman. Ringraziamo e ci muoviamo. Tutto vero! Paola prepara il pranzo, poi visitiamo la città. Se anche le vetrine dei negozi avessero l’eleganza dei bei palazzi georgiani, questa città avrebbe un aspetto strabiliante. Invece anche in questo centro abitato il decoro urbano è poco curato. Raggiungiamo la promenade e la percorriamo fino a raggiungere il promontorio, che chiude l’ampia baia.
Ripartiamo, seguendo un itinerario che ci porta verso l’interno. Percorriamo inizialmente delle ampie vallate, dove nelle conche è praticata la pastorizia, mentre i crinali delle montagne sono ricoperti dai boschi. Più ci addentriamo nel territorio, più strette diventano le valli. Anche la vegetazione cambia. Non c’è più il bosco misto di latifoglie, le conifere formano il nuovo manto forestale. Il paesaggio è alpino sebbene l’altitudine sia solo di 300 metri. Verso sera sostiamo presso il campeggio Tan-y-Fron Holiday Park di Dolgellau.

Giovedì 9 agosto
Ieri sera essendo ritornata la febbre a Paola, abbiamo riprogrammato gli ultimi giorni della vacanza. Faremo gli spostamenti necessari con brevi visite.
Questa mattina, prima di metterci in marcia, visitiamo il paese di Dolgellau. Se nei paesi visti ieri ciò che ci ha colpito, è stato il colore vivace delle case, di questo borgo ci impressiona il colore grigio scuro di ogni suo edificio. Il cielo azzurro fa risaltare le sue ruvide pietre.
Il knitting va forte in questo paese! Visitiamo il mercatino, dove sono in vendita diversi prodotti artigianali fatti ai ferri: golfini, berretti, sciarpe, scaldacolli. Una delizia agli occhi di Paola! Poi davanti a un negozio che vende filati, Paola trova un cestino che contiene gomitoli di lana e ferri da maglia. Un cartello invita a sedersi a sferruzzare. Con quella lana messa a disposizione si producono sciarpe destinate ai poveri. Invito irresistibile!
Partiamo dirigendoci al Parco Nazionale Snowdonia. La statale A494 ci porta verso l’interno. Attraversiamo delle vallate molto allungate, alle quali fanno da sfondo un certo numero di quinte montuose. Bisognerebbe fermarsi per scattare qualche fotografia, ma è impossibile, perché non c’è lo spazio necessario. In Gran Bretagna le strade sono fatte per essere percorse da un luogo all’altro. Giungiamo al lago Bala, un lungo specchio d’acqua di origine glaciale. Qui finalmente una piazzuola ci consente la sosta. Almeno il lago lo fotografiamo.
Dopo un altro tratto di strada, sostiamo a Llangollen. La cittadina sorge lungo le sponde del fiume Dee, che scorre irruente nel suo letto, consentendo la pratica del rafting. Passeggiamo sulla strada pedonale che lo costeggia fino al ponte che lo attraversa. Al di là c’è la vecchia stazione, che una volta era un importante punto di transito della linea Londra-Holyhead, che collegava la Gran Bretagna con l’Irlanda. Ora questa linea svolge un ruolo turistico. Trainati da una locomotiva a vapore, su vagoni d’epoca si può percorrere un tratto della linea. I collegamenti con l’Irlanda sono assicurati da una tratta più moderna.
Dopo pranzo e un po’ di spesa, ci spostiamo a Ponteysyllte, che dista pochi chilometri da Llangollen. Qui nel 1805 fu inaugurata un’imponente e straordinaria opera ingegneristica, progettata da Thomas Telford. Il problema da affrontare e superare consisteva nel far oltrepassare alle acque del canale Llangollen, il fiume Dee. All’epoca della prima rivoluzione industriale i canali erano le vie d’acqua privilegiate per il trasporto delle merci. Le chiatte, trainate da cavalli, che camminavano lungo le alzaie, procedevano fluide con enormi carichi. Thomas Telford studiò il progetto per dieci anni. Il ponte, sul quale scorre il canale, è lungo 307 metri, largo 3,4 metri e profondo 1,6 metri. Esso è fatto di ghisa e archi di ferro sostenuti da diciannove pilastri alti 38 metri. L’opera è davvero impressionante e per la sua bellezza nel 2009 è stata dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Una piacevole camminata ci fa scendere fino al fiume. Dal basso ammiriamo la formidabile struttura.
Riprendiamo il viaggio, diretti a Ruthin. Percorriamo la strada panoramica A542. In lontananza vediamo salire in cielo una densa nube, proveniente da un incendio boschivo. Anche in Galles “l’autocombustione” genera danni. La statale giunge in fondo alla valle e poi prosegue sull’altro versante, proprio quello infuocato. Non ci sono divieti. Come noi, altri mezzi stanno salendo il crinale della montagna. Giuseppe ha un presentimento, ma poi pensa che il fuoco sia più in alto e che la strada sia solo soffocata dal fumo. Quando raggiungiamo il punto nevralgico, un poliziotto impone di fare inversione e di tornare indietro. La nostra preoccupazione sale alle stelle, perché se alle automobili occorrono due manovre per cambiare direzione, quante ne serviranno al camper? Non potevano fermare il traffico in fondo alla valle, dove c’era un’area di sosta, che permetteva delle agili manovre?
Giuseppe, aiutato da Paola, che è scesa dal camper, lentamente muove il mezzo. Davanti c’è il burrone, dietro la pietraia della montagna, con il fioco che si sta avvicinando. Il fumo è sempre più acre e denso. Avanti, indietro, sterza, di nuovo avanti, ancora indietro, nuova sterzata, manovra ripetuta più volte e finalmente Paola risale sul mezzo. Torniamo a valle, mentre altre automobili e persino due pullman e dei tir stanno salendo. Certamente quei mezzi così lunghi non hanno scelta, dovranno per forza passare di là. Ancora una volta ci chiediamo, perché non chiudono la strada. Giunti nuovamente a Llangollen ripercorriamo la strada percorsa questa mattina. Sono trascorse diverse ore, a Carrog Station sostiamo nel campeggio omonimo.

Venerdì 10 agosto
Questa mattina piove. Sperando in un miglioramento, partiamo verso Ruthin. La pioggia intensa diventa torrenziale. Giunti a Ruthin, è impossibile scendere dal camper. Dopo aver bevuto il caffè, ci rimettiamo in marcia e raggiungiamo Caernarfon, dove sostiamo al campeggio Awm Cadnant Valley. Non offre servizi di qualità, ma per una notte va bene. Paola è stanca. Non andiamo a visitare la cittadina. Verso sera giungono due camper, uno è italiano, l’altro è stato noleggiato. Anche da questo scende una coppia d’italiani.

Sabato 11 agosto
La nostra giornata inizia con la visita di Caernarfon. La città sorge sul profondo stretto Menai, circondata dalle colline. Ad attirare lo sguardo è il suo imponente castello, costruito all’inizio del XIV secolo, come roccaforte militare. L’edificio, con le sue spesse e alte mura e le sue torri, dà proprio la sensazione di dominio.
Il castello fu fatto costruire dal re Edoardo I con l’intento di avvicinare la corona al popolo gallese. L’edificio fu invece inviso al popolo. Quando nel 1969 il principe Carlo giunse in questa città per essere investito del titolo di Principe del Galles, rischiò un attentato.
Nel porto diverse barche a vela sono pronte per navigare nell’oceano. Sono tenute al riparo in uno specchio d’acqua, protetto da un ponte levatoio. In piazza è allestito il mercato settimanale. Perfino quello del nostro quartiere al confronto fa bella figura! Tralasciamo la visita del castello, perché Paola non se la sente.
Ripreso il camper, voltiamo le spalle all’oceano, seguiamo la strada panoramica A4085 e ci addentriamo nel Parco Nazionale Snowdonia. Il percorso è impegnativo, però merita il passaggio. Attraversiamo delle verdi vallate dalle rocce affioranti. Costeggiamo il lago Llyn Cwellyn senza poterci fermare e ai piedi dello Snowdon, il monte più alto dell’Inghilterra, finalmente c’è la possibilità di sosta. Poi, poco più avanti, transitiamo attraverso il piccolo villaggio di Beddgelert. Ormai la bella strada panoramica è quasi ultimata, ma una sorpresa ci attende. Sopra un muretto si ferma un piccolo rapace. Ci fermiamo in mezzo alla strada, pochi minuti sono sufficienti a Giuseppe per fotografarlo.
Raggiunta la strada statale, transitiamo per un paese dal nome impronunciabile Penrthyndeudraeth e ci fermiamo al campeggio Coed-y-Llwyn di Blaenau Ffestiniog.
Intanto il tempo si è guastato. L’azzurro di questa mattina è diventato un grigio cinerino. Trascorriamo il pomeriggio riposandoci. Verso sera inizia a piovere, ci attrezziamo e ci rechiamo in chiesa per partecipare alla messa prefestiva.

Domenica 12 agosto
Notte di pioggia, mattino ancora bagnato. Il nostro viaggio continua all’interno del Parco Nazionale Snowdonia. Siamo nella zona di Blaenau Ffestiniog, una vecchia area mineraria, dove nel XIX secolo si estraeva l’ardesia. E’ un paesaggio particolare tutto in bianco e nero. Oggi è ancora più spettrale per la pioggia che rende lucidi i cumuli di materiale di scarto dell’attività estrattiva.
L’ardesia è una roccia metamorfica scistosa, facilmente riducibile in lamine sottili, per questo utilizzata in architettura e nell’edilizia. Gli enormi cumuli presenti sul luogo sono dovuti alla scarsa resa del materiale estratto. Su dieci tonnellate di roccia estratta solo un decimo è effettivamente utilizzabile. Potremmo visitare le miniere, ma lo stato di salute di Paola non lo consente. Facciamo una breve sosta per qualche fotografia, poi ripartiamo e attraverso le arterie di scorrimento raggiungiamo Chirk, dove sostiamo al campeggio Lady Margaret’s.

Lunedì 13 agosto
............

Martedì 14 agosto
Oggi pomeriggio dobbiamo incontrare suor Pieranna davanti alla cattedrale di Peterborough. Invece, il piacevole e interessante programma non lo possiamo realizzare a causa della febbre che non abbandona Paola. Nel pomeriggio suor Pieranna ci raggiunge in campeggio. E’ bello incontrare un’amica dopo circa un anno e mezzo!
Suor Pieranna è stata per alcuni anni nella comunità delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth della nostra parrocchia. Attenta e sempre disponibile con tutti, ha collaborato in particolare con Giuseppe riguardo alla registrazione di alcune entrate e uscite dalla cassa parrocchiale. Quando è partita per la Gran Bretagna le abbiamo promesso, che se fossimo venuti in questo Paese, ci saremmo visti.
Le ore trascorrono veloci. Con davanti il caffè e qualche biscottino, ci racconta della sua esperienza fatta presso il carcere maschile e femminile di questa città, delle diverse problematiche del contesto sociale e del suo futuro. Ci lascia nel tardo pomeriggio, con un arrivederci a domani mattina nella chiesa di St. Luke, dove parteciperemo insieme alla santa messa dell’Assunta.

Mercoledì 15 agosto
Con un’ora d’anticipo posteggiamo il camper nell’ampio parcheggio della chiesa di St. Luke. Poco distante c’è il market. Acquistiamo il pane e un po’ di frutta. Ale ore 9.00 arriva, sulla sua Bravo blu, suor Pieranna. Qualche chiacchiera, poi entriamo in chiesa per partecipare alla messa dell’Assunta. La chiesa via via si riempie di fedeli, anche se qui, il 15 agosto, è una giornata feriale. Molti sono immigrati, lo capiamo dai tratti somatici. Suor Pieranna ci dice che alcuni sono persone dell’est Europa. Le persone anziane sono in genere inglesi.
Celebra la messa don Olindo, un sacerdote italiano novantenne, che ha trascorso la sua vita religiosa prima in Irlanda e poi in Gran Bretagna. Ora, così anziano, è aggregato a questa parrocchia e coadiuva il parroco.
Dedicato alla Vergine, è il piviale che indossa: tutto bianco con ricamata davanti un’icona di Maria. Accompagna la celebrazione eucaristica, l’Ave Maria di Lourdes.
Al termine della messa due persone anziane si avvicinano a noi salutandoci cordialmente. Sul momento siamo sorpresi di tanto calore, poi li riconosciamo. Sono i nostri vicini di piazzuola del camping appena lasciato. Una stretta di mano, un sorriso e il reciproco augurio di buona continuazione, è tutto quello che ci scambiamo con affabilità.
Salutiamo suor Pieranna sul camper con un caffè fumante.
Poi partiamo: destinazione Folkestone, che dista circa 250 km. Il percorso è tutto autostradale. Il traffico è intenso, la guida impegnativa. Senza trovare ostacoli a metà pomeriggio ci fermiamo nel campeggio Black Horse di Folkestone.

Giovedì 16 agosto
Lasciamo Folkestone diretti a Dover, dove ci imbarcheremo per attraversare nuovamente la Manica. Giungiamo a Dover con un certo anticipo rispetto all’ora della partenza. Ci presentiamo al check-in e con grande sorpresa e somma gioia ci imbarcano subito.
Mentre le bianche scogliere si allontanano, ci accomodiamo sulle poltroncine del traghetto. La nostra vacanza è terminata, domani saremo a casa.